Questa mattina circa 200 rifugiati sono usciti dal centro di accoglienza di Bresso e in corteo spontaneo sono arrivati a bloccare e occupare l’importante arteria comunicativa cittadina di viale Fulvio Testi.
Dopo essere stati costretti in un primo tempo, sotto velate minacce della Questura, a rientrare nel centro, sono stati caricati dalla polizia e dai carabinieri in tenuta antisommossa mentre semplicemente chiedevano e provavano a uscire nuovamente, non essendo né in stato di fermo né tanto meno di reclusione, ma semplicemente “ospiti” della struttura.
Intanto alcuni giornalisti presenti sul posto, che erano riusciti ad entrare e documentare la situazione e le cariche venivano identificati in blocco dalle forze dell’ordine.
Le loro richieste sono molto semplici: ottenere davvero e in tempi accettabili i documenti necessari ad attestare lo status di rifugiati ed uscire dalla condizione ben poco dignitosa nella quale sono costretti a vivere all’interno del campo gestito dalla Croce Rossa.
I migranti “accolti” nel centro denunciano infatti come la maggior parte di loro viva ormai da mesi (alcuni “ospiti” sono lì da oltre un anno) in tende allestite all’interno del centro, con bagni per lo più non funzionanti che servono centinaia di persone. Anche il cibo, raccontano, è avariato e molte volte il mangiare ciò che viene dato dalla Croce Rossa ha provocato intossicazioni alimentari: a riprova di come i finanziamenti del governo e dell’UE a sostegno dell’emergenza servano in primis a riempire le casse di cooperative amiche, ingrassando il business dell’accoglienza sulle spalle da chi scappa da guerre e devastazioni ambientali alla ricerca di una vita e un futuro più degni.
Per questo questa mattina hanno deciso di uscire dal centro e denunciare pubblicamente, tutti insieme, le loro condizioni quotidiane, superando la paura per le minacce arrivate dalla stessa Croce Rossa di rimpatri punitivi o di impedimenti alla richiesta dello status di rifugiato.
D’altronde, queste sono le pratiche di un’Europa che spende miliardi ogni anno in operazioni militari nel Mediterraneo, nella costruzione di muri e barriere che a nulla servono se non a rimpinguare le tasche dell’industria bellica, mentre quei soldi potrebbero essere utilizzati per la riqualificazione di case popolari, per una formazione linguistica e l’assistenza sanitaria che sono i diritti formalmente garantiti, sulla carta, dalla stessa UE. I due mesi di start up dell’operazione europea a guida italiana “EuNav For Med”, d’altronde, sono già costati oltre 38 milioni di euro (di cui 26milioni stanziati dal solo governo italiano) che avrebbe significato l’accoglienza (vera) di 21mila rifugiati.