Let’s make our Expo
Expo 2015 è una macchina di immaginario ma si è inceppata in preda alla sua stessa voracità. Avrebbe dovuto essere la distrazione di massa con cui illudere un paese in cui il divario tra ricchi e poveri aumenta mentre crescono la precarietà e la disillusione. Avrebbe dovuto essere lo specchietto per le allodole del governo che ha fatto una sfilza di riforme utilizzando l’incomprensibile linguaggio tecnocratico: il Job Act che cancella qualunque diritto sul lavoro, il piano casa che svende il patrimonio pubblico alle banche e le nega a chi ne ha bisogno, la buona scuola che finanzia le scuole confessionali e punisce l’educazione pubblica, lo sblocca-italia che riempie la penisola di cantieri costosi, devastanti e spesso incompiuti.
Expo avrebbe dovuto essere una foglia di fico ma si sta rivelando un boomerang. Non ha convinto nessuno e non servirà a far dimenticare che la Monsanto, oltre ad affamare i paesi africani, ha devastato gli ulivi in Puglia, non servirà a far scordare che le scuole cadono a pezzi, mentre i soldi per le grandi inutili opere si trovano sempre. Basta leggere persino i sondaggi dei media mainstream per capire che la stragrande maggioranza del paese avrebbe volentieri fatto a meno di questo ennesimo collettore di corruzione e tangenti che ha cementificato una città e una provincia in cui già migliaia di case sono vuote e migliaia di persone sono senza casa; ha provato a vendere una montagna di lavoro gratuito come opportunità per i giovani disoccupati o sfruttati; ha proposto, per nutrire il pianeta, di affidarlo alle multinazionali agroalimentari che lo affamano; è costato alle nostre tasche 1,3 miliardi stando ai dati ufficiali(cifra destinata a crescere come sempre nel corso di lavori pubblici).
Domani una manifestazione scenderà in piazza per ribadire che l’opposizione ad Expo è innanzitutto la presa di posizione contro il modello neoliberista che ha diviso il mondo tra poche centinaia di ricchi e miliardi di poveri. E’ la presa di posizione di chi non crede che questo sia l’unico mondo possibile e per questo dice che per farla finita con la crisi bisogna farla finita con il neoliberismo che l’ ha generata, con la casta di carrieristi e faccendieri della politica e della finanza che chiusi dentro ai loro palazzi-bunker decidono le sorti del pianeta a colpi di austerity, guerre e contratti di lavoro da schiavi.
La “May Day” è quella manifestazione che attraversa tutti gli anni da quasi due decenni le strade della “capitale economica” d’Italia per dare un nuovo significato al 1 Maggio, data simbolica per i movimenti operai, contadini e degli sfruttati sin dall’800. La May Day è l’appuntamento che ha saputo puntare il dito contro la precarizzazione delle nostre vite quando ancora era una parola sconosciuta e che ha saputo raccogliere ogni anno decine di migliaia di persone capaci di esprimere la propria rabbia e la propria dignità anche attraverso una festa, una giornata festosa per chi si ribella tutti i giorni. Una giornata determinata a comunicare che la ribellione è necessaria per chi non vuole smettere di costruire un mondo migliore.
La macchina mediatica in atto sta cercando di oscurare i veri problemi di EXPO individuando insieme al lavoro di servizi e polizie chi protesta come il responsabile della “figuraccia globale” delle classi dirigenti del paese. Il gioco è semplice: a reti unificate i media puntano il dito contro i giovani e giovanissimi che scendono in piazza, parlando di delinquenti e criminali che imbrattano le vetrine, omettendo volontariamente che si tratta di un gesto di protesta e di denuncia verso chi come ManPower, Consob, Unicredit, BPM, Monte dei Paschi, McDonald’s &co è complice di questo sistema. E così invece di parlare dei signori di EXPO, indagati per essersi intascati milioni di euro in tangenti e aver fatto truffe di ogni genere con i soldi pubblici, l’opinione pubblica leggerà articoli di basso livello che raccontano la solita vecchia storia fatta di strategie della paura e della tensione, dispiegamento di migliaia di poliziotti, perquisizioni e sgomberi. Tutto questo per raccontare al mondo l’ennesima bugia: dopo quella dell’Expo bucolica (a cui non ha creduto nessuno) quella di una protesta truculenta, inaudita e senza ragioni. E’ necessario dire in tanti, in decine di migliaia con la stessa voce forte e chiara, che i colpevoli si assumano le responsabilità del danno che hanno causato: una esposizione universale che lascia dietro di sé così tanti disastri che non sarà facile da dimenticare.
Le nostre ragioni non si possono cancellare, sono quelle dei movimenti globali che dalla fine degli anni ’90 denunciano il disastro del neoliberismo e che qualche anno fa erano fuori da Wall Street a chiedere conto di quanto successo; sono quelle degli studenti che scendono in piazza contro la distruzione della scuola pubblica, per dire che l’unica soluzione è investire in un’istruzione gratuita, per tutti e di qualità, degli abitanti che lottano per abitare dignitosamente e autogestire i propri territori, di chi riprende le terre per far vivere una agricoltura genuina e consapevole, di chi si rifiuta di accettare qualunque condizione di sfruttamento e si batte per i diritti, rivendica Welfare e reddito di cittadinanza per tutti, e costruisce dal basso pratiche di mutuo soccorso e solidarietà attiva, come antidoto al razzismo e alle ricette reazionarie e nazionaliste dei paladini della finanza e dell’austerità.
Per questo le nostre ragioni saranno domani in piazza; ma soprattutto metteranno in campo un #AlterExpo di mobilitazione, approfondimento e iniziativa politica. Oltre l’Expo dell’ipocrisia per portare nel cuore della metropoli le loro contraddizioni e le nostre lotte. Let’s make our Expo.Da domani ci si vede in piazza, nelle lotte, nelle metropoli e nelle campagne. Dove si gioca davvero la partita: una battaglia per la giustizia sociale.