Venerdi 24 Febbraio Sayri x Decolonize the city
Ci riuniamo con la compagna Lizet Aguilar e il collettivo peruviano transfemminista Rosa Rabiosa, in collegamento da Lima, per parlare delle proteste peruviane di questi ultimi mesi da una prospettiva antipatriarcale e anti cis-eteronormativa.
A seguire cena solidale e djset con:
@s4yri
@wiqha
ANTES DE RENDIRNOS, SEREMOS ETERNXS
L’attuale conflitto politico peruviano è un conflitto razziale. In Perù, come in tutta Abya Yala, la colonizzazione è un processo vivo che continua a sterminare persone, comunità, territori ed espressioni culturali che risiedono al di fuori della norma bianca, di classe media-alta, cis, eterosessuale.
Non esiste un solo Perù, ma molti. C’è un Perù provinciano, nello specifico andino, marrone, cholo, indio, che parla i molti tipi di quechua e aymara ed è detto “profondo”, e uno criollo, bianco-mestizo, che parla spagnolo e a cui piace identificarsi nella capitale, la “civilizzata” Lima.
La repubblica peruviana è da 200 anni una macchina centralista di violenza razzista, classista, patriarcale e omobilesbotransfobica di natura strutturale che opera secondo una geografia ben precisa: la peruanidad coincide con Lima, e mai con il resto del Perù. Oggi però, citando la giornalista e scrittrice Gabriela Wiener, “il Perù non è Lima, ma Lima è solo il resto del Perù.”
Dallo scorso 7 dicembre, giorno in cui si è insediata la dittatura militare di Dina Boluarte, il “Perù profondo” ha proclamato uno sciopero nazionale a tempo indeterminato, richiedendo rinuncia immediata della presidente, elezioni anticipate e l’istituzione di una nuova assemblea costituente, volta alla redazione di una nuova Costituzione.
Da più di due mesi migliaia di discendenti quechua k’ana, chanka, colla, wanka, aymara, mochica si sono mobilitati per protestare prima nelle province di tutto il centro-sud del Perù, per poi, dopo aver viaggiato su autobus, camion, carovane o anche a piedi, arrivare nella capitale.
Le forze armate peruviane hanno risposto a queste proteste con una repressione connotata razzialmente: in meno di due mesi si contano 77 morti (dichiarati)—per la maggior parte persone quechua-aymara delle province andine di Puno, Apurimac, Ayacucho, Cusco, Arequipa—1600 feriti, centinaia di detenzioni arbitrarie, con denunce di violenze sessuali verso donne detenute da parte della polizia. Non è neanche un caso che proprio negli ultimi due mesi in Perù si siano registrati 5 transfemminicidi, i cui responsabili sono ad oggi ancora impuni.
L’abuso secolare della classe criolla bianca-mestiza cis-eteropatriarcale, la sua impunità assieme a quella del sistema che la mantiene al potere, non costituiscono solo le fondamenta del terrorismo di stato del regime Boluarte—che nonostante l’80% di disapprovazione da parte del popolo si rifiuta di dimettersi—ma le ragioni storiche che stanno portando un intero popolo a insorgere con la “sangre hirviente”, contro un apparato di morte di matrice coloniale