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Già da quest’estate manifestazioni e proteste contro il Green pass si sono verificate in molte città d’Italia.
A nostro parere la contrapposizione tra libertà individuale e la libertà coniugata con la solidarietà e la responsabilità sociale è il discrimine attraverso cui leggere quelle piazze. Le voci e i cartelli nelle strade hanno infatti rivendicato, in modo quasi unanime, il diritto del singolo individuo di porre la propria condizione e le proprie necessità davanti al benessere e alla sicurezza della comunità senza rivendicare in alcun modo spazi di libertà e nuove forme dello stare insieme. Senza mettere in discussione l’esistente, ma rivendicando il diritto ad un “me ne frego” personale, come arma di difesa dal “sistema”.
Lo scorso sabato 9 ottobre, come esito di un percorso di infiltrazione di mesi, Forza Nuova ha organizzato, a partire da una di queste manifestazioni, l’assalto alla sede della CGIL di Roma. 

Un atto squadrista, che si richiama proprio a quegli atti che 100 anni fa caratterizzarono la presa del potere del fascismo. Un atto in cui sono evidenti le complicità di qualcuno, tra le forze dell’ordine, forse grazie ai noti legami tra questa destra neonazista e gli apparati di potere politici e dei servizi. Un atto contro cui è scesa in piazza Roma e dopo il quale scenderemo in piazza anche a Milano, Giovedì 21 Ottobre.

 

Il focus della protesta contro il Green pass, dopo l’assalto alla CGIL si è spostato sui porti, da sempre un simbolo della lotta operaia e ora più che mai nodo logistico centrale nella vita di tutti. 

In settimana in alcuni porti i lavoratori hanno organizzato proteste. Il focus delle proteste era specifico sul Green Pass nei luoghi di lavoro.

A Trieste, la più importante delle proteste, il Coordinamento dei lavoratori portuali di Trieste, fuoriuscito nel 2015 dal Sindacalismo di Base, per la proclamazione dello sciopero si è affidato a FISI, federazione italiana sindacati intercategoriali, che tra i propri leader annovera il medico No-vax Dario Giacomini e Pasquale Bacco, noto fascista. Nonostante il tono sensazionalistico tenuto per l’avvicinamento all’introduzione del green pass nei luoghi di lavoro da parte di tantissimi media main stream, la situazione nei vari porti d’Italia si è sviluppata in modo differente da porto a porto. A Genova la battaglia è rimasta legata esclusivamente al tema del diritto all’accesso al lavoro e per la gratuità dei tamponi. In altri porti come Livorno, i lavoratori scelgono di mettere in primo piano altre istanze. 

Sabato, a Milano migliaia di persone al corteo No Green Pass. Una manifestazione che segue molte altre che sono cresciute di Sabato in Sabato a partire da Luglio. 

Nel corteo di Milano c’erano sicuramente componenti che dichiarano di riferirsi ad un pensiero anarchico, componenti di estrema destra, una folla composita e non giovanissima. Si scende in piazza senza nessun comune, in nome di quello che, nella migliore delle ipotesi, è un antiautoritarismo che non si capisce quali poteri forti metterebbe in discussione e quale prospettiva sociale e politica va costruendo o almeno rivendicando. Infatti un pensiero debole, che mischia elementi irrazionali e il culto della folla in rivolta, non seleziona chi è a fianco a noi nella lotta. Non contribuisce a costruire moltitudini, consapevoli del carattere globale dello scontro e anche della necessità di agire localmente.
Non è possibile condividere le piazze con i fascisti innanzitutto perché non sarebbe possibile trovarsi dalla stessa parte della barricata nelle rivendicazioni e nelle istanze. Sia che si manifestino in forma autoritarie, sia che si manifestino sotto forma di una ideologia predatoria che vede al centro l’individuo e la sua prepotenza, la sua soluzione del patto di solidarietà con gli altri.

Nel mondo del lavoro ci sono mille e una ragione per scendere in lotta e bloccare la circolazione delle merci: i diritti negati, i salari bassi, la sicurezza sul lavoro, la precarizzazione e tutto ciò che in questi anni il neoliberismo ha riconquistato dopo decenni di lotte operaie. Non può essere al centro una battaglia che nasce dalla rottura della solidarietà con gli altri, anteponendo la libertà di un capriccio o di una paura (sulla base dei dati poco giustificata) alle ragioni e al benessere del collettivo.
Nelle Università si sono organizzati piccoli gruppi di studenti che rivendicano con un approccio giurisprudenziale più che politico la libertà di rischiare la propria salute e quella di tutti, invece di affrontare i nodi della libera circolazione del sapere, contro il monopolio di Big Pharma, del ruolo universalistico che i luoghi di formazione devono assumere, contro la privatizzazione, del futuro possibile per l’umanità e il pianeta.

Per comprendere quello che sta succedendo nelle piazze ci facciamo aiutare da alcune tracce di riflessione.

Le pestilenze portano con sé, storicamente quello che Marco Revelli racconta così:
Una ondata di irrazionalità sta attraversando le piazze ed in questo caso anche i porti. E’ un portato quasi naturale delle Pandemie. Ogni volta che ci si è trovati di fronte ad una pestilenza, sono sono esplose le forme estreme di irrazionalismo, di fanatismo, i santoni e le fattucchiere.

Contemporaneamente Nella società si è affermata (ad esempio nell’america Trumpiana) una idea di libertà come scioglimento di qualsiasi vincolo di responsabilità e solidarietà. Un pensiero che si coniuga facilmente con la irrazionalità sopra citata perché, una volta che non vi è più la necessità di rivendicare, assieme alla libertà, una diversa idea di società, un comune possibile a cui aspirare, diventa un pensiero slegato dalla materialità dei bisogni e quindi svincolato anche dalla verifica dei fatti Un pensiero debole, anche se si propone come radicale, incapace di mettere in discussione il sistema. Come spiega Sergio Bologna:

L’idea di libertà che l’estrema destra porta avanti – e ci sembra di poter collocare Trump nell’area dell’estrema destra – non deve più rappresentarsi immediatamente come sinonimo di un determinato ordine sociale, economico e istituzionale, ma come sostanza biologica di una umanità in cerca del puro benessere. Quindi la libertà diventa semplicemente il diritto del singolo individuo di fare ciò che vuole, non solo al di fuori di ogni regola, ordine e principio istituzionale, ma anche al di fuori della considerazione dell’esistenza dell’altro. Libertà significa che l’individuo ha il diritto di fare ciò che vuole, senza preoccuparsi se il suo agire può essere di vantaggio o di detrimento di altri. Perché l’altro esiste solo in quanto detentore dello stesso diritto.

L’idea di libertà che sottende al comportamento e alla propaganda no vax è di questo genere.

A Marzo la Pandemia stava diventando tale: dopo la sua scoperta in Cina aveva raggiunto il Nord Italia e comparivano focolai nei cinque continenti. Un collettivo cileno scrisse su un muro di Santiago del Cile: “Non torneremo alla normalità perché la normalità era il problema”
Non c’era l’ombra del negazionismo in questa parola d’ordine che corrispondeva, grosso modo, all’ingenua speranza che “avessimo imparato la lezione”. Pensavamo che avrebbero lasciato una traccia la convinzione diffusa dell’importanza della Sanità pubblica, la maturazione di una consapevolezza della necessità del carattere globale dei problemi e dell’insostenibilità del modello di sviluppo, la sperimentazione concreta del fatto che bisogna superare le istanze individuali per difendersi in una società complessa.
Non c’è, nelle piazze contro il Green Pass, nulla di tutto questo. Nessuna assunzione della responsabilità di indicare una strada possibile da percorrere insieme, comune.

Abbiamo detto sin dall’inizio alcune cose a proposito della scienza, a dire il vero non da soli: tra le tante iniziative citiamo la petizione europea “no profit on pandemic” e la campagna internazionale the People Vaccine sostenuta da Emergency, ma persino da numerosi capi di Stato del Sud Globale e dal Papa.
– la ricerca scientifica privata, oppure utilizzata come arma geopolitica non consente di affrontare con coerenza ed efficacia le minacce a cui la stessa natura della globalizzazione neoliberale sottopone l’umanità e il pianeta.
– la ricerca scientifica deve basarsi sulla pubblicità delle informazioni e sull’accessibilità dei brevetti, sul controllo democratico e non sul profitto, sulla consapevolezza che viviamo in un solo pianeta e non sulle ambizioni di potenza degli stati nazionali.
Come mai queste rivendicazioni di carattere, solidale, universalistico, ecologista, non determinano una egemonia culturale nella società, rispetto all’idea di libertà legata alla prepotenza del singolo, è per noi un terreno di inchiesta e di battaglia.

Di nuovo, proprio di fronte a questo, la contrapposizione al vaccino privilegia una paura sostanzialmente irrazionale ad una rivendicazione sacrosanta: il vaccino non è sufficiente. Tantomeno quello proprietario.
Bisogna reinventare la sanità oltre i modelli precedenti: sanità di base, ruolo dell salute psicofisica, equità dell’accesso ai trattamenti e soprattutto alle possibilità di prevenzione (che dipendono dalla conoscenza e alle condizioni materiali di partenza).
Il vaccino nella politica pubblica viene utilizzato come uno strumento per tornare alla normalità, cioè alla crescita e al profitto. Non siamo insensibili alla crisi sociale ed occupazionale, ma può essere il PIL e l’iperconsumo la prospettiva per fare uscire milioni di persone della povertà?
In entrambi i casi i finisce per negare (o nella migliore delle ipotesi distrarre da) il fatto che le Pandemie, come ogni fenomeno che preveda un “costo” da pagare su scala globale e locale generano effetti tremendamente ingiusti.

La Pandemia ci dice una volta di più che è cambiato completamente il rapporto tra la storia biologica della terra e la storia della specie umana, proprio ora che sappiamo con evidenza che continuare a produrre Co2, a perseverare nelle cause dell’estinzione di specie, a deforestare il mondo, invadendo ecosistemi intangibili da milioni di anni ci porterà alla catastrofe. Si tratta di approfondire, non certo di abbandonare, la prospettiva di una futura umanità, di una rivendicazione di giustizia globale.

Anche Kate Aronoff, nel libro A planet to win, che descrive una prospettiva possibile per una transizione ecologica radicale spiega:
La visione libertarians della libertà, come diritto di fare come vuoi in quanto individuo, sempre che tu possa permettertelo economicamente, è la formula per il disastro nel 21esimo secolo, nel quale è più che mai chiaro come i nostri destini siano legati.

Invece di avere la Libertà di fare quello che voglio, non è forse nostro compito e nostra unica speranza battersi assieme per la libertà dalla paura, dai confini, dallo sfruttamento, dal dominio, dalla fatica, per la libertà di vivere? 

 

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