Domenica 6 giugno ore 15.00 | Presidio alla Sede di Facebook in Piazza Missori Negli algoritmi di Facebook e di Instagram – le piattaforme maggiormente utilizzate nel mondo - c’è qualcosa che non va. Nel corso degli anni, decine di profili facebook pubblici e privati sono stati oscurati dall'algoritmo della piattaforma creata da Mark Zuckenberg nel 2004, imponendo argomentazioni unilaterali e parziali sulle questioni come la lotta del popolo curdo.
Si tratta di una guerra che si sta combattendo in campo militare ed economico, ma anche in quello dell’informazione.
Erdogan ha ricevuto contestazioni da tutto il mondo e mai come oggi ha bisogno di costruirsi un profilo più piacente, in patria e all’estero. Il fatto che i social siano contenitori dove oggi viene veicolata la maggior parte dell’informazione, e dove viene quotidianamente applicata la censura dell’algoritmo, elimina chi racconta le atrocità ai danni delle popolazioni del Rojava, e non fa altro che alimentare il gioco del despota turco.
Rete Kurdistan Milano.
Pensare che l’accessibilità a certi contenuti dipenda dalla discrezionalità di un’azienda privata quale è Facebook è un qualcosa che non mina e danneggia ulteriormente la libertà di espressione; in un momento storico in cui la maggiorparte delle persone leggono notizie trovate sui social network, non si possono ignorare le conseguenze del filtro che questi applicano sull’informazione.
In un periodo storico dove le notizie – selezionate dagli algoritmi di Zuckemberg – girano alla velocità della luce, noi vogliamo manifestare davanti agli uffici Facebook per raccontare ciò che sta succedendo in Medio Oriente.
Il 24 aprile, anniversario del genocidio degli armeni, la Turchia ha iniziato una vasta operazione per occupare le montagne del Kurdistan Iracheno il cui messaggio è : ”Come abbiamo fatto con gli armeni faremo con i curdi”.
Per questo colpiscono al cuore il movimento di liberazione, perché la resistenza curda rimane il più grande ostacolo per l’espansionismo neo-ottomano della Turchia in Iraq e in Siria.
Per questo inaspriscono l’isolamento di Abdullah Ocalan, perché senza di lui e senza il PKK, l’ISIS non sarebbe stato sconfitto e non ci sarebbe stato un autogoverno rivoluzionario ispirato ai principi della centralità delle donne, della democrazia diretta e dell’economia egualitaria. Non ci sarebbe stata la Rivoluzione del Rojava.
Decine di migliaia di membri dell’ISIS si sono riversati in Siria e Iraq attraverso i confini turchi.
Gli attacchi della Turchia e delle sue bande contro la Siria del nord e dell’est stanno cambiando la struttura demografica della regione. Ad Afrin sono stati uccisi centinaia di civili, migliaia sequestrati e torturati, uliveti e siti storici distrutti e centinaia di migliaia di persone costrette alla fuga. Lo stesso è successo a Serekaniye e Gire Spi e da più di un anno continuano gli attacchi contro Ain Issa, Sehba e Til Temir.
L’obiettivo e arrivare dove ISIS non è arrivato, invadere Kobane.
Nelle zone controllate dalle truppe di occupazione turco-jihadiste, arabi, armeni, ceceni, circassi, curdi, ezidi, siriaci, suryoye (aramei, assiri e caldei) e turkmeni, convivevano attraverso un auto-organizzazione democratica.
Il cambiamento demografico forzato mira ad indebolire il confederalismo democratico creato da questi popoli, privandoli delle proprie radici.
Attraverso l’aggiornamento della ‘cintura araba’ creata dal regime siriano nel 1962 per decurdizzare la regione, Erdogan punta a un nuovo cambiamento demografico con la creazione di una ‘cintura turca salafita’
Ha messo insieme dozzine di gruppi tra cui Al-Qaida e la Fratellanza Musulmana e sta trasformando le zone occupate in centri in cui addestrare i suoi mercenari e mandarli nel mondo come ha già fatto in Libia e in Nagorno Karabakh contro gli armeni,e come sta facendo ora in Iraq contro la guerriglia del PKK.
Il Partito KDP di Barzani, che governa la regione del Kurdistan Iracheno per conto della Turchia e dei poteri internazionali, oltre a non opporsi agli attacchi transfrontalieri collabora anche al progetto di pulizia etnica nei confronti della comunità Ezida di Shengal, area che i peshmerga del KDP hanno scelto di abbandonare all’approssimarsi dell’ISIS.
Gli Ezidi da allora hanno realizzato un’amministrazione auto-organizzata, consigli femminili autonomi e forze di autodifesa che la Turchia, dopo aver effettuato numerosi attacchi aerei contro Shengal, mira a distruggere tramite l’Accordo di Sinjar tra KDP e governo iracheno.
In Turchia più di 60 sindaci curdi sono stati arrestati e il controllo delle municipalità assegnato a commissari fiduciari del governo turco. Erdogan ha fatto lo stesso con i rettori delle università. Gli studenti dell’università del Bosforo a Istanbul sono stati arrestati in massa per le loro proteste.
Migliaia di dirigenti e militanti del partito HDP sono in carcere, 108 di loro sono imputati nel ‘Processo Kobane’ per le proteste contro l’assedio della città da parte di ISIS nel 2014.
Con il ritiro dalla Convenzione di Istanbul e la procedura di chiusura contro l’HDP, gli ultimi pezzi di democrazia e diritti umani rimasti in Turchia verranno distrutti.
Kobane è stata la prima sconfitta inferta al califfato e ora il califfo Erdogan vuole vendicare questa sconfitta.Per fare questo deve eliminare le conquiste della Rivoluzione del Rojava a cui hanno preso parte e per cui hanno donato la vita partigiani di tutto il mondo.
La resistenza di Kobane e la nuova ondata internazionalista che lì è cominciata, hanno mostrato che la lotta partigiana, la presa di posizione nella storia a fianco dei popoli in lotta non può essere sconfitta dagli eserciti e gli accordi delle potenze mondiali.
Se Facebook continua a dichiarare da sempre di agire in nome della neutralità allora deve rimuovere l’algoritmo che censura le notizie dei popoli che lottano per autodeterminarsi, in Medio Oriente come in Sud America, in Africa come in Europa.
Basta con l’oscuramento delle pagine solidali con la lotta internazionalista del popolo curdo, basta con la cancellazione di profili pubblici o privati “colpevoli” di aver pubblicato anche solo il volto del leader del popolo curdo Ocalan.