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Nel Marzo 2021 tre inchieste contro le orgenizzazioni che praticano Soccorso in mare sono state aperte in un solo giorno, la flotta civile che salva le vite che l’Europa abbandona alle onde del mare e alla cattura della cosiddetta guardia costiera libica. Sappiamo ormai che le inchieste sono avvenute su diretta pressione del Ministero dell’Interno, violando le leggi che tutelano la stampa e intercettando persone che non erano indagate. 

Non è la prima volta. Da un lato è il risultato del principio del “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”, reato che viene usato come una clava contro chiunque si trovi in un luogo di frontiera, ad aiutare la vita, contro fili spinati e campi di concentramento.

Tuttavia, nonostante l’ingiustizia della legge, le inchieste non hanno mai raggiunto esiti di colpevolezza. I processi servono ad ostacolare e far chiudere le ONG, ad impedire alle navi di prendere il mare, ritardando l’azione del Soccorso in Mare. In uno degli articoli che segue, del 2018, Nello Scavo fa il punto sulle inchieste, tutte avviate verso il nulla, che avevano dato il via al grande attacco contro le ONG “taxi del mare”.

Tre inchieste in un giorno. Le Ong: “Torna la criminalizzazione

Di  martedì 2 marzo 2021

Caso Mare Jonio, Maersk: “Noi mai contattati dagli inquirenti”. A Trapani e Catania nuove accuse a Medici Senza Frontiere. Il Tar “libera” la Sea Watch 4, mentre resta senza porto la Sea Watch 3

Mentre la procura di Ragusa ufficializzava l’inchiesta sul trasbordo di migranti dalla petroliera Maersk Etienne alla Mare Jonio, il Tribunale di Catania chiedeva il rinvio a giudizio per Medici senza frontiere e la procura di Trapani, dopo quattro anni, chiudeva l’inchiesta con cui chiederà il rinvio a giudizio, sempre per favoreggiamento dell’immigrazione illegale, ai danni ancora una volta di Medici senza frontiere. Tutto in ventiquattr’ore. Unica notizia di segno opposto, il Tar di Palermo ha sospeso i fermi che bloccavano la Sea–Watch 4 da sei mesi nel porto del capoluogo siciliano. «Le decisioni della magistratura, arrivate a poche ore di distanza, allungano l’elenco – spiega Msf in una dichiarazione ad Avvenire – dei numerosi tentativi di criminalizzare il soccorso in mare, che a oggi non hanno confermato alcuna accusa». A Ragusa, intanto, l’inchiesta su Mare Jonio, alla cui compagnia armatrice è contestato l’avere incassato un bonifico da 125mila euro dalla danese Maersk, ieri ha avuto uno sviluppo. Il gigante danese del trasporto marittimo ha spiegato di non essere mai stato contattato dagli investigatori, nonostante abbia inviato agli armatori di “Mediterranea” il bonifico contestato. «Abbiamo appreso che è in corso un’indagine ufficiale», si legge in una mail inviata ad Avvenire dal quartier generale di Copenaghen, tuttavia «non siamo stati contattati dalle autorità in relazione a questa indagine, ma siamo pronti ad aiutare in qualsiasi momento». Se le indagini arriveranno fino a Copenaghen si capirà se, come sostiene la procura, vi è stato un «accordo commerciale» preventivo tra Idra, proprietaria di Mare Jonio e Maersk. Oppure, come sostengono gli indagati, se quei fondi versati oltre un mese dopo il trasbordo siano stati il frutto del sostegno di Maersk che, anche nel corso di un congresso pubblico, aveva annunciato insieme ad altre compagnie di navigazione l’intenzione di offrire un supporto «politico e materiale» alle organizzazioni umanitarie.

Il presidente e il vicepresidente della società armatoriale, Alessandro Metz e Giuseppe Caccia, spiegano di avere “incontrato per la prima volta i manager della Maersk Tankers un mese dopo la conclusione dell’operazione di soccorso”.

Il faccia a faccia è avvenuto “nel contesto di riunioni con le Organizzazioni di rappresentanza degli Armatori danesi ed europei, con i quali stiamo da allora discutendo le problematiche delle navi mercantili che incrociano nel Mediterraneo e la comune richiesta affinché gli Stati europei rispettino gli obblighi relativi al coordinamento dei soccorsi e allo sbarco delle persone recuperate in mare”. In quella circostanza, spiegano Metz e Caccia, entrambi indagati, gli armatori “ci hanno chiesto come potessero aiutare le nostre attività umanitarie, politicamente e materialmente. Sulla base della Convenzione di Londra del 1989 sull’assistenza tra navi in acque internazionali, Maersk ha così parzialmente riconosciuto le spese aggiuntive sostenute da Idra Social Shipping per i servizi svolti in mare, come forma di sostegno alla nostra attività. Né più né meno”. Dal canto loro gli inquirenti sostengono invece di avere elementi da cui si può ritenere “plausibile” un intesa precedente al trasbordo.

La serie di inchieste emerse in queste ore riporta alla memoria la stagione delle indagini contro le Ong partite nel 2017 e mai arrivate a un solo processo. “Dopo anni di indagini, in un solo giorno, abbiamo ricevuto dalla Procura di Trapani l’avviso di chiusura delle indagini per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e dal Gup di Catania la decisione di rinvio a giudizio per traffico illecito di rifiuti”, riassume Medici senza frontiere. “Le decisioni della magistratura, arrivate a poche ore di distanza, allungano l’elenco dei numerosi tentativi di criminalizzare il soccorso in mare, che a oggi non hanno confermato alcuna accusa, ma che – si legge nella nota dell’organizzazione umanitaria – insieme alle ciniche politiche dell’Italia e dell’Europa hanno pericolosamente indebolito la capacità di soccorso nel Mediterraneo centrale, al drammatico costo di migliaia di vite umane”.

In mare si trova la Sea Watch 3 che fra il 26 e il 28 febbraio, nella sua prima missione dopo sette mesi di blocco forzato, ha soccorso 363 persone e stabilizzato un’imbarcazione in pericolo con 90 naufraghi a bordo. La nave Ong arriverà oggi nel porto di Augusta. «Le persone soccorse e il nostro equipaggio – dice la portavoce Giorgia Linardi – sono allo stremo: le condizioni meteo sono peggiorate a causa del vento ed è impossibile evitare il diffondersi dei casi di ipotermia». Presto potrebbe tornare a effettuare soccorsi anche la Sea Watch 4. Il Tar di Palermo ha infatti restituito la libertà di navigazione nell’attesa che la Corte di Giustizia Europea si pronunci sul caso. Era stato proprio il Tribunale amministrativo siciliano a rivolgersi alla giurisdizione europea a cui ha trasmesso i ricorsi presentati da Sea–Watch. La Corte di giustizia è chiamata a esaminare la legittimità dei provvedimenti di blocco anche alla luce delle emergenze umanitarie.

 

 

Un anno dopo, svanisce il patto trafficanti - ONG

Di Nello Scavo, da Avvenire del 14 Agosto 2017

Erano quattro le inchieste a carico delle Ong che salvano migranti. Tutte accusate di essere in combutta con gli scafisti. Ma di indagini ne sopravvivono due: una (Catania) si avvia all’archiviazione; l’altra (Trapani) ha derubricato l’associazione per delinquere all’ipotesi di irregolarità allo scopo di ‘commettere’ salvataggi.

Le procure di Palermo e Ragusa, invece, hanno già archiviato, concludendo che non ci sono stati reati.

CATANIA Il procuratore Carmelo Zuccaro ipotizzava a carico della Ong Open Arms il reato di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione illegale. Secondo diverse fonti, sarebbe vicina

RAGUSA A Ragusa il Tribunale del Riesame ha stabilito che la ‘disobbedienza’ delle organizzazioni non governative che scelgono di non cooperare con le autorità libiche è motivata dallo «stato di necessità» connaturato al soccorso dei naufraghi.

TRAPANI Nell’inchiesta sono stati adoperati infiltrati a bordo delle navi delle Ong. Lo scopo? Dimostrare un presunto patto tra scafisti e volontari per raccogliere i migranti in mare. Per proteggere gli equipaggi, sarebbe stato reclutato personale vicino a movimenti identitari.

PALERMO Le indagini, condotte anche dagli investigatori che avevano segnalato anomalie, non hanno portato ad alcun risultato. I pubblici ministeri hanno chiesto e ottenuto dal gip l’archiviazione di entrambe le inchieste.

Quasi due anni di indagini (la cui esistenza è stata ufficializzata alla vigilia dell’estate scorsa) e un dispiegamento di forze e risorse senza precedenti – con agenti infiltrati, intercettazioni satellitari, elaborazioni di tracciati radar, informative richieste ai servizi segreti – ad oggi hanno prodotto un unico risultato: l’allontanamento dal Mediterraneo della gran parte delle organizzazioni non governative e l’aumento dei naufragi in rapporto al numero di migranti messi in acqua dai trafficanti.

Le Ong respinte e quelle bloccate a terra (due le navi sequestrate, di cui una ancora bloccata nel porto di Trapani) non sono state rimpiazzate da dispositivi degli Stati Ue, mentre la comunità internazionale non è stata in grado di stabilizzare la Libia né di fermare i trafficanti di uomini e chiudere i loro lager.

 

 

 

Due procedimenti sono già stati definitivamente mandati in archivio. A Ragusa il Tribunale del riesame ha stabilito che la ‘disobbedienza’ delle organizzazioni non governative che scelgono di non cooperare con le autorità libiche è motivata dallo «stato di necessità» connaturato al soccorso dei naufraghi. Un’ordinanza contro cui la procura non ha avanzato ricorso in Cassazione, di fatto diventando giurisprudenza a cui possono appigliarsi tutti gli operatori che agiscono nel Canale di Sicilia.
Sempre a Ragusa era stata inizialmente sequestrata (per ordine della procura di Catania, poi spogliata dalla competenza territoriale restituita ai magistrati ragusani) la nave di Proactiva Open Arms. Ma il giudice per le indagini preliminari ne aveva disposto la riconsegna all’equipaggio dell’organizzazione iberica.

Anche Trapani si avvierebbe a chiudere definitivamente nel cassetto l’inchiesta. Nel porto rimane sotto sequestro la nave dell’organizzazione tedesca Jugend Rettet. Il pool di magistrati aveva tra l’altro inviato un avviso di garanzia al sacerdote eritreo don Mosé Zerai che con la sua agenzia umanitaria

Habeshia

raccoglie da anni gli Sos dei migranti e li trasmette alle forze dell’ordine. Un comportamento che a qualche poliziotto era sembrato ‘sospetto’.
Nell’inchiesta vennero anche adoperati infiltrati a bordo delle navi delle Ong. Agli atti ci sono anche le dichiarazioni di alcuni addetti alla sicurezza arruolati da una delle navi umanitarie. Secondo questi ultimi, pur in mancanza di concreti riscontri, doveva esservi una qualche losca intesa tra scafisti e volontari per raccogliere i migranti in mare. Qualche tempo dopo si scoprirà che, prima di venire assunti per proteggere gli equipaggi, i 
bodyguard avevano avuto a che fare con i movimenti identitari protagonisti della campagna internazionale scatenata contro le organizzazioni umanitarie anche a colpi di false notizie.


Palermo, dove erano aperti due fascicoli d’indagine, a lungo hanno investigato i magistrati della Direzione distrettuale antimafia. Non proprio dei tirocinanti. Ma anche qui non è stata rinvenuta alcuna prova di connivenze tra l’Ong Sea Watch e i trafficanti libici.
Le inchieste, condotte dal procuratore aggiunto Marzia Sabella e dai pm Gery Ferrara e Claudio Camilleri, avevano ad oggetto un procedimento avviato a maggio del 2017 dopo lo sbarco, a Lampedusa, di 220 migranti; l’altro aperto dopo una segnalazione della Guardia di Finanza che ipotizzava delle «incongruenze» nel comportamento della Sea Watch in occasione di un soccorso portato ad aprile del 2017. Le indagini, condotte anche dagli investigatori che avevano segnalato anomalie, non hanno portato ad alcun risultato. I pubblici ministeri hanno chiesto e ottenuto dal gip l’archiviazione di entrambe le inchieste.

L’esercito di detrattori da tastiera, da mesi fa circolare la leggenda secondo cui i magistrati che archiviano sono, nel migliore dei casi, inquirenti dal cuore tenero oppure, secondo alcune delle bufale più in voga, eterodiretti da una qualche corrente. Il caso di Palermo, però, smentisce platealmente. I pm che hanno indagato e poi chiesto l’archiviazione, sono gli stessi che hanno fatto arrestare il presunto superboss eritreo del traffico di uomini, Mered Medhanie Yedhego. Il ragazzo in carcere si professa innocente e sia le inchieste giornalistiche, come quella che da due anni conduce il Guardian, sia le analisi difensive che l’esame del Dna confermano che si tratterebbe di un clamoroso scambio di persona. Nonostante questo i magistrati inquirenti – autori dell’archiviazione per le Ong – vanno avanti. Segno che non si tratta di giudici che rispondono a inesistenti diktat umanitari.

 

Le archiviazioni contrastano e mettono allo scoperto le contraddizioni dell’indagine monstre avviata a Catania dal procuratore Carmelo Zuccaro. La procura etnea, che secondo diverse fonti potrebbe chiedere a giorni l’archiviazione dell’indagine perché gli elementi raccolti non sopravviverebbero all’esame di un tribunale, ipotizzava in particolare a carico della Ong Open Arms il reato di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione illegale. In mancanza di prove incontrovertibili, Zuccaro non ha mai mancato di fare conoscere la sua opinione sull’operato delle organizzazioni non governative. «Fanno parte di un sistema profondamente sbagliato – ha sostenuto –, che affida la porta d’accesso all’Europa a trafficanti che sono criminali senza scrupolo. Questo è l’aspetto sbagliato delle cose che non risponde né a senso di umanità né di solidarietà». Opinione rispettabile e che nell’attuale governo certo trova consensi. Ma giudiziariamente irrilevante.

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