#Decolonizethecity: per una città antirazzista e transfemminista, verso lo sciopero de #lottomarzo
Eccoci. Davanti alla Borsa, quel dito medio alzato oggi è fucsia.
La Borsa è un istituto finanziario nato per prevedere e speculare sull’andamento del mercato. Nata precisamente per speculare sul furto e sull’accumulo, sull’estrazione di beni e risorse dalle terre colonizzate e dai corpi razzializzati e delle donne.
È dal 1492, dall’inizio dello sterminio delle Americhe che questo processo non si è mai fermato.
Nel corso delle espansioni coloniali, le compagnie delle indie, i soldati, i coloni facevano il lavoro sporco di stupro e di rapima, le banche e la finanza lo facevano fruttare.
Tra il 1640 e il 1660, la Gran Bretagna godette dei maggiori benefici del mercantilismo.
Durante questo periodo, la politica economica maggiormente condivisa prevedeva che le colonie dell’impero fornissero materie prime e diventassero luogo di vendita dei prodotti finiti. I coloni si imponevano come unico tramite per i territori colonizzati.
Si pensava, anzi si era scelto, che nessun paese ce l’avrebbe fatta senza risorse coloniali.
Un legame a doppio filo che continua ancora oggi.
La finanza nasce sul furto e lo stupro, sulla schiavitù e sulla sottomissione di corpi e terre.
Questo processo è in corso ancora oggi, con il land e water grabbing e l’estrazione criminale di combustibile fossile e materiali preziosi in tutto il mondo, con guerre sporche e moderne tratte di schiavi da una costa all’altra degli oceani e del Mediterraneo.
I corpi delle donn*, dei popoli originari, dei neri, degli sfruttati ad ogni latitudine continuano ad essere carne viva delle speculazioni economiche e finanziarie, compreso in Italia, dove sono le persone più impiegate nei lavori definiti “essenziali” (su 10 persone contagiate dal covid sul posto di lavoro 7 sono donne, 8 Se migranti), ma anche le più sacrificabili (tra il 70% e il 90% di chi ha perso il posto di lavoro nell’ultimo anno).
Ecco perché stamattina il dito medio puntato contro la finanza è fuxia: perché decolonizzare la città significa anche colorarla della nostra rabbia.
Verso l’8 marzo, la campagna #decolonizethecity rivendica una città e un mondo senza oppressioni di genere e colore.
Ringraziamo Ivan per la realizzazione dell’opera, inserita nella campagna #decolonize the city e dedicata a #nonunadimeno verso lo sciopero transfemminista globale dell’8 marzo.
Post sctiptum, dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.
La aberración del sistema y su estúpida defensa del “progreso” y la “modernidad” se estrella contra una realidad criminal: los feminicidios. El asesinato de mujeres no tiene color ni nacionalidad, es mundial.
Y la “civilización” parece decirnos a los pueblos originarios: “la prueba de tu subdesarrollo está en tu baja tasa de feminicidios.
Ezln.
#DECOLONIZETHECITY: TOPONOMASTICA TRANSFEMMINISTA E ANTIRAZZISRA A MILANO
La scelta dei nomi della toponomastica ufficiale, esclude e silenzia molteplici nomi e storie.
Persone migranti, persone non bianche, Rom, persone lgbtquia+ e donne non fanno parte delle vie della nostra città, si è preferito dedicarne a fiori e arbusti.
Quando compaiono nomi di luoghi oltre confine, si tratta spesso di città e simboli che celebrano le gesta del colonialismo italiano, senza critica nè contesto.
Nella città transfemminista e antirazzista che vogliamo, la toponomastica è uno strumento per contrastare la cultura della violenza attraverso la memoria e la conoscenza di altre Storie.
Se queste strade non fossero dedicate a colonialisti e stupratori forse sarebbe anche meglio.