In Cile si sintetizza una combinazione esplosiva di un libero mercato senza anestesia e una democrazia completamente delegittimata, che conserva solo il suo nome. È degenerato in una plutocrazia che, fino a pochi giorni fa – ma non più – è stata misurata dalle dimissioni, dalla demoralizzazione e dall’apatia dei cittadini, abilmente ingannate dall’oligarchia mediatica dei media della classe dominante.
Un segnale di avvertimento di disordini sociali è stato che oltre la metà della popolazione (53,3 per cento) in età di voto non si è nemmeno preoccupata di andare alle urne al primo turno delle elezioni presidenziali del 2017. l’astensione dal voto è stata ridotta al 51%. Sebastián Piñera è stato eletto con appena il 26,4% degli elettori registrati. In poche parole, solo un cittadino su quattro si è sentito rappresentato da lui.
Oggi quella cifra deve essere molto più bassa e in un clima in cui il neoliberismo è ovunque assediato dalle proteste sociali. Il tempo è cambiato e non solo in America Latina. Le loro false promesse non sono più credibili e i popoli si ribellano: alcuni, come in Argentina, sfrattano i loro portavoce dal governo attraverso il meccanismo elettorale, e altri tentano con le loro enormi mobilitazioni – Cile, Ecuador, Haiti, Honduras – di finire a un progetto follemente ingiusto, disumano e predatore. È vero: c’è una “fine del ciclo” nella regione. Ma non, come alcuni ipotizzano, quello del progressismo ma quello del neoliberismo, che può essere sostenuto, e non per molto tempo, con la forza di brutali repressioni.
Prima furono i colpi, le umiliazioni e le minacce, ma nelle ultime ore le torture e gli stupri delle donne in Cile sono diventati realtà. Lo stato di eccezione attuato dal governo di Sebastián Piñera ha portato le pratiche della dittatura, anche per quanto riguarda le sparizioni. Molte delle donne che sono state arrestate finora sono scomparse. Inoltre, le persone incarcerate a Santiago del Cile sono state spogliate di fronte allo staff maschile, tentate nei loro genitali e “hanno messo la punta del fucile nella loro vagina mentre minacciavano di violentarle e ucciderle”, come emerge dalle testimonianze raccolte dalle compagne di detenzione.
Secondo i dati dell’Istituto nazionale per i diritti umani (NHRI), dopo i giorni di protesta di domenica, sono state arrestate 2138 persone, tra cui 243 bambini e adolescenti e 407 donne. Nove di loro sono stati spogliati in procedimenti di polizia.
Come nella dittatura, ci sono madri disperate che cercano i loro figli e le loro figlie dai tribunali della giustizia.
Cile è un paese ideologicamente molto debole, la sinistra cilena è nel suo peggiore momento, non c’è un’alternativa e la rabbia popolare, l’ira delle classi popolari, si manifesta in questa maniera. Ma la risposta della repressione ci può portare verso tempi tremendamente brutti.
«Farla finita col nazi-liberismo», di Franco Berardi Bifo
Il lungo disastroso ciclo neoliberista si sta esaurendo nel sangue e nella violenza come nel sangue e nella violenza cominciò. Esso si è caratterizzato come devastazione sistematica dell’ambiente, impoverimento della vita sociale, riduzione del salario, precarietà del lavoro, privatizzazione dei servizi pubblici, incitamento alla guerra di tutti contro tutti.
Questo ciclo cominciò nel 1973, quando gli ideologi neoliberisti nord-americani usarono un assassino chiamato Pinochet per distruggere l’esperimento democratico di Salvador Allende, eletto dalla maggioranza del suo popolo e ucciso dai fascisti nell’interesse dell’economia di profitto.
Questa filosofia nazi-liberista si è imposta nel mondo attraverso l’eliminazione delle avanguardie operaie, la ristrutturazione tecnica della produzione, la privatizzazione della scuola, del sistema sanitario, dei trasporti pubblici e attraverso l’occupazione privata dei media.
Quaranta anni di violenza nazi-liberista hanno condotto allo smantellamento dell’edificio della democrazia, all’esaurimento delle risorse fisiche del pianeta, al cambiamento climatico, alla diffusione massiccia di psicopatie aggressive talvolta suicide. Però negli ultimi giorni cominciamo a capire che dal Cile dove questa follia nazi-liberista incominciò, presto potrebbe iniziare il suo crollo.
Nelle ultime settimane abbiamo assistito a un’esplosione di rivolte distinte, disomogenee, perfino contraddittorie nelle forme e negli obiettivi: l’insurrezione ecuadoriana, la rivolta dei giovani di Hong Kong, l’ondata massiccia di protesta contro il centralismo spagnolo in Catalogna, la resistenza armata del popolo curdo contro il fascismo genocida turco.
Ora la sollevazione degli studenti e dei lavoratori cileni, iniziata come protesta contro l’aumento del prezzo dei trasporti urbani si trasforma in una critica pratica e massiccia della violenza finanziaria e chiama gli studenti e i lavoratori di tutto il mondo a scendere in strada a fianco dei ragazzini che ogni venerdì marciano contro il cambiamento climatico.
Il capitalismo è un cadavere nel quale siamo intrappolati: esso incancrenisce le potenzialità di invenzione di progresso di solidarietà.
Ci dicono che non ci sono alternative al capitalismo: in questo caso dobbiamo prepararci alla guerra, all’apocalissi ambientale e alla estinzione sempre più probabile della razza umana.
Ma in verità l’alternativa esiste: si fonda sul superamento dell’ossessione economica della crescita, sulla redistribuzione delle risorse, sulla riduzione del tempo di lavoro salariato e l’allargamento del tempo di attività libera (insegnamento, terapia, azione solidale).
In ogni paese del mondo dobbiamo esprimere solidarietà agli insorti cileni, ecuadoriani, hongkonghini, ma soprattutto dobbiamo prepararci a scendere nelle strade, a fermare le attività lavorative e la circolazione del traffico urbano, ad attaccare i centri del potere economico e finanziario e a costruire le strutture per la riconversione ecologica e sociale di cui l’umanità ha urgente bisogno.
Forse è adesso il momento, da tanto tempo aspettato, per assestare il colpo finale a questo modo di produzione che produce morte: attaccandolo senza respiro in tutti i luoghi.
Sosteniamo gli insorti che non si arrendono e lottano contro il privilegio. La rivolta cilena chiama la solidarietà internazionale contro il genocidio, perché si chiuda il tempo dell’orrore e dell’indegnità e inizi un’epoca degna di essere vissuta.
Franco Berardi Bifo,
Hugo Nicolás Sir Retamales,
Colectivo Vitrina Dystópica, Santiago