#Parigi, sabato 8 dicembre, una grande giornata di lotta anche oggi.
Questa mattina i #giletjaunes si sono concentrati a #champselysee, mentre gli studenti sono partiti da #saintlazare.
La polizia ha impedito in tutti i modi che le due manifestazioni si unissero, disperdendo i cortei in decine di spezzoni da migliaia di persone che hanno cominciato a bloccare la città.
Nel pomeriggio giletjaunes, studenti liceali, universitari e le tantissime persone della marcia per il clima si sono raggruppate tutte a place de la Republique, per poi partire in corteo selvaggio per il centro.
In #Francia è aperta rivolta, camminando per Parigi si incontrano praticamente solo persone che camminano per lo stesso scopo: bloccare il governo macron e inceppare gli ingranaggi di un sistema neoliberista che affama i molti per i privilegi di pochi. Bastano pochi sguardi per sentire quanti siamo e quanta è forte la complicità.
#Macron è all’angolo, la sua ridicola moratoria di un anno sull’aumento della benzina non è bastata a far tornare a casa le decine di migliaia di persone che ormai sono nelle piazze e vogliono un’educazione libera e gratuita, reddito e welfare per tutti, con la consapevolezza che è solo con un cambio radicale di sistema e cacciando la casta potremo vivere bene.
Dalla Francia all’Italia: Que se vayan tod@s!
VOCI DALLA PIAZZA DI PARIGI!
Anche a Grenoble oggi è stata una giornata di mobilitazione. Dalla mattina nonostante un imponente dispositivo di polizia, che ha perquisito centinaia di persone, a Parc Paul Mistral si son radunate diverse centinaia di #giletsjaunes che in poco tempo sono aumentati notevolmente.
Dal parco il corteo spontaneo ha provato a raggiungere la prefettura per portare simbolicamente le istanze della mobilitazione; la risposta è stata il fermo di alcuni rappresentanti dei gilet, cariche e lancio di gas lacrimogeni.
A questo punto il corteo è poi continuato bloccando il centro storico finendo di nuovo alla prefettura dove una delegazione è stata ricevuta ottenendo la liberazione di alcuni dei fermati.
Nel pomeriggio più di 15mila persone hanno attraversato il centro di Grenoble con un determinato corteo per il clima.
In Francia da 3 settimane si sta muovendo una scossa tellurica fatta di corpi che si mobilitano, un movimento popolare che sta facendo tremare il governo neoliberale di Macron. Noi non siamo opinionisti dei movimenti altrui.
Siamo spontaneamente dalla parte di chi mette in discussione l’ordine costituito e reclama più giustizia sociale, dei movimenti sociali e del desiderio di riscatto delle moltitudini.
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Tutto questo vale sempre e non c’è nessun motivo dunque, di giudicare da qualche piedistallo questa indignazione che sta spazzando la Francia. Possiamo tentare di riprodurla, farla propria e nello stesso sostenere chi da dentro la organizza affinché sempre più assuma i tratti di un movimento per la liberazione e non sia recuperato dal potere: attraverso piccole concessioni e grandi burocrazie oppure attraverso l’infiltrazione di gruppi organizzati o parole d’ordine che provengono direttamente dall’ordine costituito, come quelle razziste e sessiste.
Sicuramente ci riconosciamo, con passione, nel desiderio di “cacciare la casta dei super-ricchi”, quel “degage” che risuonava nelle primavere arabe, quella forza destituente che serve per immaginare e costruire una nuova società, assieme alla forza costituente che si annida nella capacità di cooperare della moltitudine.
Parafrasando il rivoluzionario che ha centrato il successo più spettacolare del XXesimo secolo dovremmo trasformare la guerra civile europea che neoliberisti e nazionalisti stanno, insieme, seminando, in guerra all’oppressione dei gemelli siamesi che giocano due parti in commedia: l’austerity imposta dal capitalismo finanziario e l’autoritarismo dello stato nazione.
Di seguito un testo di Toni Negri su Eruonomade che analizza complessivamente il movimento.
L'insurrezione francese.
di TONI NEGRI. da Euronomade.info
Ragioniamo su quanto avvenuto in queste ultime tre settimane in Francia. Si può chiamare insurrezione? Dipende da come s’intende la parola insurrezione – certo, comunque la si intenda, qualcosa del genere c’è stato. E probabilmente continua. E non son tanto, a mostrarlo, i violentissimi scontri che ormai da due sabati si verificano nella metropoli parigina. Non sono le barricate, gli incendi di automobili sulle strade del centro parigino a mostrarlo e neppure le jacqueries che qua e là si hanno in Francia e i blocchi stradali che si distendono ovunque. Lo dicono quei due terzi di francesi che approvano il movimento generale che l’aumento del prezzo della benzina ha determinato. E questa approvazione va molto al di là dell’eventuale condanna dei disordini accaduti. Interessanti sono a questo proposito gli accenni di insubordinazione che animano gli stessi comportamenti dei pompieri e dei corpi di polizia.
Certamente, c’è ormai in Francia una moltitudine che insorge violentemente contro la nuova miseria che le riforme neoliberali hanno determinato. Che protesta per la riduzione della forza-lavoro al precariato e per la costrizione della vita civile nell’insufficienza dei servizi sociali pubblici, per la bieca tassazione di ogni servizio del welfare, per i giganteschi tagli alle finanze dei governi municipali ed ora, sempre di più, per gli effetti (che si cominciano a misurare) della Loi Travail, e si preoccupa per gli attacchi prossimi al regime di pensionamento ed al finanziamento dell’educazione nazionale (università e scuole secondarie). C’è in Francia, dunque, qualcosa che insorge violentemente contro la miseria e fa seguire a questo un “Macron, démission!” – un attacco cioè alle scelte del banchiere Macron a favore delle classi dominanti. Gli obiettivi dell’insurrezione sono Macron e le tasse. Non è un movimento sociale tradizionale, quello che si è composto attorno a queste parole d’ordine – non lo è, almeno, nella forma novecentesca, dove un movimento presenta degli obiettivi che le istituzioni dello Stato assumono o rifiutano dopo che sono stati mediati da corpi sociali intermedi. Questo è un movimento moltitudinario che non vuole intermediazioni, che è espressione dell’enorme sofferenza sociale fin qui accumulata.
C’è qualcosa che colpisce soprattutto in questo movimento e che lo rende diverso dalle lotte più dure che la Francia abbia conosciuto negli ultimi anni, per esempio dalla lotta del 2005 dei cittadini delle banlieues. Quella era una lotta che aveva il segno di una liberazione, questa del 2018 ha una faccia disperata. E non parliamo del ’68. Nel ’68, il movimento degli studenti si impiantava su un continuum di lotte operaie. Il ’68 è 10 milioni di operai industriali in sciopero, è una tormenta che si dà sul punto più alto dello sviluppo e della ricostruzione post-bellica. Qui, oggi, la situazione è chiusa. A me, piccolo interprete di grandi movimenti, ricorda la rivolta nelle prigioni più che la gioia del sabotaggio dell’operaio massa. In ogni caso, si tratta di un movimento artificiale, contraddittorio, con diversità territoriali, generazionali, di classe, e chi più ha più ne metta; è unificato dal rifiuto di trattare, di mettersi in gioco dentro le strutture politiche esistenti. È senza dubbio un’insurrezione e per il momento è indecifrabile il suo sviluppo.
Davanti a sé questo movimento ha un governo che non vuole cedere, che non può cedere. È fuori dubbio che Macron stia muovendosi in una situazione chiusa. A fronte di una crisi economica che non riesce a bloccare, aveva puntato su un’alleanza egemonica europea con la Merkel, su una direzione “a due” del processo di unificazione europea, pensando di scaricare su quest’alleanza i costi di una ristrutturazione e di una definitiva uscita francese da una “minorità” economica – difficilmente commisurabile all’orgoglio nazionale e coloniale ancora vivo. Ma questa ipotesi è saltata, comunque è fortemente indebolita. Stiamo rientrando in recessione? Macron e i suoi sanno che è possibile. Sanno comunque che la Merkel ha finito il suo ciclo e che l’ipotesi di partenza del riassetto generale della forma-Stato in Francia è bloccata. Le regole dell’Unione europea le faranno sempre di più i banchieri del nord Europa e la determinazione dell’equilibrio si sta spostando in quelle regioni. Ci sarebbero state e ci sono un paio di possibilità per Macron di uscire dall’impasse nella quale si è messo. Sono soluzioni proposte attorno ad un cambiamento di rotta: per esempio, la reintroduzione dell’ISF (imposta di solidarietà sulle fortune) e cioè la ripresa dell’imposta progressiva sui redditi mobiliari, e l’annullamento della CSG (contribuzione sociale generalizzata) che toglie anche ai salari più bassi quote monetarie… per aiutare poveri! (ad esempio 50 euro su pensioni di 500 euro!) – oltre naturalmente all’abolizione degli aumenti del prezzo del carburante presenti e futuri (in particolare si attendono aumenti di tutte le tariffe dei servizi – elettricità, gas, telefono e probabilmente tasse universitarie – per l’inizio dell’anno prossimo). Non sono possibilità che Macron possa attuare senza rompere con il blocco di potere che lo sostiene. Possono allora esserci soluzioni drastiche come l’instaurazione dell’état d’urgence o la dissoluzione dell’Assemblea nazionale. Si cominciano ad orecchiare voci in proposito…
Ma il blocco per l’azione di Macron è altrove. Di fatto, egli ha distrutto ogni corpo intermedio, ogni rapporto diretto con la cittadinanza e gli è difficile ristabilire qualsiasi rapporto. Basterebbe dunque poco, se non per bloccare il movimento con qualche proposta opportunista e demagogica, almeno per attenuarne l’indignazione (che non è forza sottovalutabile): basterebbe, come si è detto, ritornare sulla tassa contro le grandi fortune e recuperare quei quattro miliardi concessi ai padroni dei padroni per ridistribuirli, in luogo dell’imposizione della tassa carburante. Ma non sta a noi dar consigli a Macron. Fonti autorevoli insistono, come si diceva, su una manovra legale: état d’urgence per bloccare le lotte, accompagnati da “stati generali della fiscalità”. Si ammette così che solo la forza può bloccare le lotte, e che solo un’apertura a riforme fiscali a favore della moltitudine, può impedirne la ripresa. Ma è appunto questa soluzione ad essere impossibile.
Abbiamo già detto della mancanza di intermediazione sociale creata (e voluta) dal governo Macron. Gli corrisponde, in vitro, come in uno specchio, il comportamento dei gilets jaunes: anch’essi rifiutano la rappresentanza e l’intermediazione, la destra e la sinistra, come terreno sul quale arrivare ad una mediazione del conflitto. Lo dimostrano le difficoltà che hanno i partiti di opposizione ad inserirsi in questo gioco. La destra, come noto, pretende di esser fortemente presente in questo movimento. Ma questo può esser vero per quanto riguarda alcune frazioni estremiste, è molto meno vero per quanto riguarda il grande partito della Le Pen. Anche da sinistra si tenta di avvicinare il movimento, purtroppo nei soliti vecchi termini di strumentalizzazione. Anche in Francia vive l’idiota immaginazione che si possano “usare” movimenti di questo genere, utilizzandoli nella lotta contro un governo di destra. È l’ininterrotto sogno di servirsi del Pope Gapon! Ma questo non è mai successo nella storia del movimento operaio, ovvero, quando è accaduto, è stato perché l’organizzazione militante della classe operaia aveva investito la spontaneità e l’aveva trasformata in organizzazione. È forse questo il caso odierno? Quando son solo piccoli gruppi di sinistra che si organizzano negli scontri metropolitani e quando la CGT, completamente estranea a questi movimenti, pateticamente insiste su un rialzo della massa salariale? Ultima riflessione a questo proposito: è possibile la nascita di un movimento come i 5 Stelle in questa situazione? È possibile, è probabile anzi che si facciano da subito tentativi in proposito – non è detto che riescano. Ma di questo avremo tempo di parlare. Ogni soluzione è difficile laddove (come già avvenuto nel laboratorio Italia) destra e sinistra si sono sfasciate attorno ad un “estremismo di centro” mascherato in termini più o meno tecnocratici o “benevolenti”.
E allora? Attendiamo di vedere che cosa succederà. Se vi sarà un quarto sabato di lotta indetto dai gilets jaunes. Ma è chiaro che la riflessione dev’essere portata avanti. Permettetemi un’ingenua domanda: come può una moltitudine, caratterizzata dentro movimenti insurrezionali, esser tolta ad una deriva di destra e trasformata in classe, in potenza di trasformazione dei rapporti sociali? Una prima riflessione: se non è trasformata in organizzazione, questa moltitudine è neutralizzata dal sistema politico, diviene impotente. Altrettanto vale per la sua riduzione a destra e, comunque, a sinistra: è solo nella sua indipendenza che questa moltitudine può funzionare. E allora una seconda riflessione: quando si dice organizzazione, non si intende organizzazione partitica – come se solo lo Stato dei partiti potesse dare organizzazione alla moltitudine. Una moltitudine autonoma può funzionare come contro-potere e cioè come prospettiva pesante e lunga nel costringere il “governo del capitale” a concedere nuovi spazi e nuovo denaro per il benessere della società. La struttura organizzativa prevista dalla “costituzione dei partiti”, democratico-americana, ormai difficilmente regge alla sua incorporazione nelle politiche neoliberali. E se, d’altra parte, non c’è più la possibilità di portare la moltitudine al potere, vi è tuttavia la possibilità di tenere sistematicamente aperto un movimento insurrezionale. Una volta questa situazione era chiamata di “doppio potere”: potere contro potere. I fatti francesi mostrano una sola cosa: che non è più possibile chiudere questo rapporto, che la situazione di “doppio potere” starà in piedi, sarà a lungo presente in maniera espressa, palese, come sta succedendo oggi, o in maniera latente. L’attività dei militanti sarà dunque quella di costruire nuove solidarietà attorno a nuovi obiettivi che nutrano il “contro-potere”. È solo così che la moltitudine può diventare classe.
Preistoria
Che cosa succede in Francia? C’è una rivolta di uno strano popolo che in un primo sabato (17 novembre) blocca gli incroci e le rotonde delle strade dipartimentali, gli ingressi delle autostrade, e che si presenta al secondo sabato (24 novembre), assai combattiva, sugli Champs Elysées parigini, elevando barricate e chiedendo di incontrare il Presidente della Repubblica. In un terzo sabato (1 dicembre) i manifestanti investono i quartieri ricchi della metropoli, scontrandosi furiosamente con la polizia, svaligiando boutiques e ristoranti… È una cosa seria? Da dove arriva? Perché Macron non riesce a chiudere questa vertenza che si sta sempre più allargando di sabato in sabato? Ci sarà un quarto sabato?
I gilets jaunes son cominciati rispondendo con un milione di firme ad un invito ad agire contro l’aumento del prezzo del carburante, lanciato sui social. Al milione di firme son seguite 250.000 persone che hanno indossato i gilets jaunes, il primo sabato di lotta. Si tratta di una moltitudine in movimento: sono soggetti connessi orizzontalmente; provengono soprattutto dai settori meno modernizzati del paese, dalle zone periurbane o dal largo centro geografico (ed economicamente periferico) della Francia. Si tratta di classe media impoverita, legata ad organizzazioni produttive tradizionali, recentemente dinamizzate dalle riforme neoliberali e tuttavia meno valorizzanti di quelle dei settori dei servizi urbani e della produzione “cognitiva”.
Si diceva che l’agitazione è cominciata dalla rivendicazione di un abbassamento del prezzo del carburante, recentemente imposta da Macron ed ipocritamente legata alla spesa necessaria per rispondere ai mutamenti climatici. Quella rivendicazione si è subito allargata da un lato alla richiesta di un abbassamento generale delle tassazioni sul lavoro e sulla circolazione, alla richiesta di un aumento del potere di acquisto a fronte dell’aumento del costo della vita, ad una protesta contro l’ingiustizia fiscale ed in particolare contro l’eliminazione da parte di Macron delle tasse sulla grande ricchezza. “Macron banchiere, Macron dimissioni!” Ceto medio impoverito, dunque, periferico rispetto alla metropoli, e abitante nella Francia centrale, nei grandi spazi che questa presenta e nelle piccole città. Gente che lascia allo Stato due terzi del salario, tra mutuo della casa, imposte dirette, spese dei servizi pubblici e… prezzo del carburante. Perché l’automobile è il mezzo di lavoro principale per andare al lavoro, su un territorio dove i mezzi pubblici di comunicazione sono insufficienti, o per lavorare in servizi di alta mobilità (artigianali, infermieristici, di trasporto, ecc.). Il governo non solo ti mette le tasse sul “mezzo di lavoro” ma ti prende in ostaggio dicendoci che si tratta di pagare per un dovere civico: la difesa della vita nel mutamento ecologico. La risposta: “Macron ci parla della fine del mondo, il nostro problema è la fine del mese!” Basterà il congelamento delle misure fiscali, tra cui la tassa sul carburante, annunciato questo pomeriggio dal primo ministro Édouard Philippe a disinnescare questa miccia accesa o arrestare l’incendio?
Il movimento è interessante da analizzare. Nei blocchi stradali che presto si sono estesi alle grandi superfici di distribuzione nelle zone periferiche del paese, il movimento si presenta coeso e con aspetti localmente “parrocchiali” (vale a dire con organizzazione locale coesa). Quando invece investe la metropoli, si tratta di una vera e propria moltitudine, orizzontale, colorata e… incendiaria. Un movimento comunque “senza testa” (lo dicono gli avversari), vale a dire senza dirigenti, che si dichiara “né di destra né di sinistra”, che polemizza con la rappresentanza politica che considera in sé corrotta, e soprattutto si definisce anti-Macron. Strana conversione di grandi strati di popolazione che, in poco tempo, sono passati dall’elezione populista e centrista di Macron (che era riuscita a fare il vuoto dei partiti e delle opposte ideologie) ad una simmetrica protesta nei suoi confronti – effetto “specchio” populista.
Infiltrazioni di destra? È possibile. Bisogna sempre ricordare che in Francia movimenti analoghi hanno avuto a destra la loro primavera, come per esempio il poujadismo negli anni ’50. Ma non si deve esagerare – anche se è certo che gruppi estremisti di destra si muovono agevolmente nelle manifestazioni. Contatti con la sinistra? Non palesi al momento, anche se gli insoumis di Mélenchon hanno tentato l’intervento e la CGT ha ora aperto un contenzioso con il governo sulla massa salariale. Tuttavia, non sembra, al momento, che qualsiasi iniziativa di sinistra abbia la capacità di inserirsi e/o di dirigere il movimento. Inutile ripetere che in Francia il movimento anti-fiscale ha sempre avuto caratteristiche piuttosto di destra che di sinistra: il problema non è questo. È piuttosto che il ras-le-bolgenerale che è manifestato da questo movimento e dalla virtuale convergenza di lotte – anti-fiscali, ma anche attorno al welfare ospedaliero, al tema delle pensioni: problemi tutti aperti – e che comincia a configurarsi, scuote il paese dal basso all’alto (tra il 60 e l’80 % circa è favorevole ai gilets jaunes). Si noti bene che la convergenza delle lotte era stata ampiamente richiesta e cercata dai sindacati nei due lunghi periodi di lotta, prima sulla Loi Travail e poi attorno alla vertenza dei ferrovieri. Non era avvenuta. Si determinerà ora a destra? Non credo che questo sia ora il problema. La risposta comincerà ad apparire dopo il “quarto sabato”.
Di seguito (in italiano e in francese) i comunicati di alcune realtà sociali di Parigi e/o della Francia che sono in piazza in questi giorni.
Gilets Jaune, une colère légitime
Taxer les riches et les profits, pas les habitants !
Baisse des loyers, hausse des APL, réquisition des logements vides !
Les gilets jaunes expriment une colère légitime à plusieurs titres :
– Taxer les produits de base est injuste et pèse sur le budget des ménages modestes. Il faut donc augmenter les impôts des riches et baisser les taxes pour mieux répartir les richesses, mais aussi financer les services publics attaqués et affaiblis délibérément par le gouvernement (logements sociaux, hôpitaux, transports publics, production d’énergie, impôts, éducation, justice …).
– Le mouvement des gilets jaunes exprime aussi le désarroi et la colère des habitants chassés des centres par la spéculation et le logement cher, pris en otage par l’absence de transports en commun et une charge logement qui engloutit une grande part de leurs revenus. Il faut donc mettre fin à l’urbanisme d’épuration sociale des grandes agglomérations et à la spéculation foncière et immobilière qui étranglent les ménages.
– Pour assurer la transition écologique, plutôt que de taxer la population, il faut toucher les vrais pollueurs qui détiennent les richesses, fraudent le fisc, profitent des paradis fiscaux tels que les GAFA, les milliardaires, les actionnaires et les groupes financiers qui par exemple investissent dans le carbone… Et au lieu d’asphyxier le logement social et les locataires en réduisant les APL, il faut une vraie isolation thermique des logements, adapter le mode de chauffage et baisser les loyers pour garantir le droit à un logement décent, stable, accessible pour toutes et tous…
C’est pourquoi Droit Au Logement qui est déjà présent dans certaines villes aux cotés de gilets jaunes, appelle à manifester samedi 1er décembre :
- En soutien aux habitants des taudis de Marseille et les victimes des effondrements et des évacuations qui marchent samedi 1er décembre pour leurs droits
- Pour la baisse des loyers et des taxes sur les produits de base, pour taxer les grands pollueurs, les profits et la spéculation, rétablir l’ISF, appliquer la loi de réquisition, financer le logement social, mettre fin aux expulsions …
- En soutien aux associations et syndicats de chômeurs qui comme chaque année marchent le 1ersamedi de décembre.
Un toit c’est un droit !
Tassa i ricchi e i profitti, non gli abitanti!
Diminuzione degli affitti, aumento degli APL, requisizione di abitazioni vuote!
I giubbotti gialli esprimono la rabbia legittima in diversi modi:
– La tassazione delle materie prime è ingiusta e incide sul budget delle famiglie modeste. Dobbiamo quindi aumentare le tasse sulle tasse ricchi e inferiore per una migliore distribuzione della ricchezza, ma anche finanziare i servizi pubblici indeboliti e hanno attaccato deliberatamente dal governo (housing sociale, gli ospedali, i trasporti pubblici, l’energia, le tasse, l’istruzione, la giustizia …).
– Il movimento di gilet giallo anche espresso sgomento e rabbia della gente cacciati dai centri di speculazione e costo degli alloggi, presa in ostaggio dalla mancanza di trasporto e l’alloggio sostegno inglobando gran parte del loro reddito. È quindi necessario porre fine all’urbanistica per la purificazione sociale delle grandi città e alla speculazione fondiaria e immobiliare che sta strangolando le famiglie.
– Per assicurare la transizione ecologica, piuttosto che tassare la gente deve toccare i veri inquinatori che hanno ricchezze, evasione fiscale, i paradisi fiscali di profitto, come GAFA, miliardari, gli azionisti e gruppi finanziari tali investire in carbonio … E invece di soffocare gli alloggi sociali e gli inquilini riducendo i PLA, abbiamo bisogno di un reale isolamento termico degli alloggi, adattiamo la modalità di riscaldamento e abbassiamo gli affitti per garantire il diritto a un alloggio decente, stabile , accessibile a tutti …
Ecco perché Droit Au Logement, che è già presente in alcune città insieme a giubbotti gialli, chiede dimostrazioni sabato 1 dicembre:
A sostegno degli abitanti dei quartieri poveri di Marsiglia e delle vittime dei crolli e delle evacuazioni che si svolgono sabato 1 ° dicembre per i loro diritti
Per abbassare gli affitti e le imposte sulle materie prime, a inquinatori fiscali, i profitti e la speculazione, ripristinare l’ISF rispettare la legge requisizione, finanza housing sociale, deportazioni di fascia …
A sostegno di associazioni e sindacati di disoccupati che come ogni anno camminano il 1 ° dicembre.
Un tetto è un diritto!
Acte IV. Gilets Jaune de luttes
Appel commun à un cortège massif des collectifs et des luttes pour un Acte IV, samedi 8 décembre, au départ de la Gare Saint Lazare et en direction des Champs-Élysées. Soyons plus nombreu.ses que jamais !
Samedi 1er décembre, au milieu des nombreux affrontements entre Gilets jaunes et forces de police, un cortège hors du commun a vu le jour : à l’appel des Cheminots de l’Intergare, du Comité Adama, de la Plateforme d’Enquêtes Militantes, de l’Action Antifasciste Paris-Banlieue et du Comité de Libération et d’Autonomie Queer, nous avons défilé ensemble au départ de Saint-Lazare, vers les Champs-Élysées.
Samedi 8 décembre, nous appelons à reproduire ces alliances pour faire front commun dans le climat révolutionnaire qui bouscule le pays. Le mouvement des gilets-jaunes doit non seulement se poursuivre, mais il doit être amplifié et élargi. Nos luttes ont leur place dans ce mouvement, elles doivent le soutenir et porter leurs revendications propres. Par les manifestations et les blocages, mais aussi par la grève et sa généralisation, il faut bloquer l’économie et faire plier Macron.
En multipliant ses attaques, le régime Macron soude nos alliances, à égalité, avec nos spécificités. Dans les quartiers populaires aussi on doit faire des heures de trajet en voiture – ou dans des transports dégradés – pour bosser dans des usines, dans des entrepôts, dans le nettoyage industriel ou encore dans le secteur de la sécurité. Les femmes sont en première ligne pour subir ces galères, comme elles sont en première ligne du mouvement des gilets jaunes.
En envoyant ces lacrymos et ces grenades sur les gilets-jaunes, dans des quantités records, le gouvernement poursuit aussi ce qu’il fait déjà dans les quartiers populaires, dans les manifestations, dans les universités et les lycées. Et en s’attaquant aux cheminot.es ou aux hôpitaux, Macron détruit encore un peu plus les services publics dont nous avons besoin au quotidien.
Un mouvement aussi fort ne peut pas se poursuivre sans une remise en cause générale du système. Il ne peut pas oublier les violences policières, le racisme et le sexisme, la transphobie, la lesbophobie et l’homophobie, l’exploitation au travail et ailleurs, l’oppression dans nos quartiers, nos entreprises, nos écoles ou dans la rue. Et c’est à nous de porter ces combats.
Etudiant.es et salarié.es, précaires et chômeur.ses, jeunes des quartiers, gilets jaunes ou syndicalistes de combat…soyons plus nombreux que jamais le samedi 8 décembre, à 10H00, sur le parvis de la Gare Saint Lazare.
AG d’organisation du cortège, jeudi 6 décembre à 19H00, Bourse du travail de Saint-Denis : https://www.facebook.com/events/582201435543155/
Les Cheminot.es de l’Intergare, Le Comité Adama, Les postier.es en lutte, L’Action Antifasciste Paris-Banlieue, Le Comité de Libération et d’Autonomie Queer, La Plateforme d’Enquêtes Militantes…
Comune chiamata a una processione di massa di collettivi e lotte per un Atto IV, sabato 8 dicembre, con partenza da Gare Saint Lazare e verso gli Champs-Elysees. Siamo più numerosi che mai!
Sabato 1 dicembre e circondato da numerosi scontri tra giacche gialle e forze di polizia, una processione fuori dal comune è nato: il richiamo della Ferrovieri Intergare, Comitato Adama di attivisti Investigation della piattaforma, dell’azione antifascista Parigi-Banlieue e del Comitato di Liberazione e Autonomia Queer, sfiliamo insieme da Saint-Lazare, agli Champs-Elysees.
Sabato 8 dicembre, chiamiamo per riprodurre queste alleanze per rimanere uniti nel clima rivoluzionario che sta scuotendo il paese. Il movimento delle giacche gialle non deve solo continuare, ma deve essere amplificato e ampliato. Le nostre lotte hanno il loro posto in questo movimento, devono sostenerlo e portare le proprie richieste. Dalle dimostrazioni e dai blocchi, ma anche dallo sciopero e dalla sua generalizzazione, è necessario bloccare l’economia e piegare Macron.
Moltiplicando i suoi attacchi, il regime Macron salda le nostre alleanze, alla pari delle nostre specificità. Nei quartieri della classe operaia, è anche necessario guidare per ore – o in trasporti degradati – per lavorare in fabbriche, magazzini, pulizie industriali o nel settore della sicurezza. Le donne sono in prima linea per soffrire queste galee, in quanto sono in prima linea nel movimento dei giubbotti gialli.
Inviando queste lance e granate su giubbotti gialli, in quantità da record, il governo sta anche continuando quello che sta già facendo nei quartieri della classe operaia, nelle dimostrazioni, nelle università e nelle scuole superiori. E attaccando ferrovie o ospedali, Macron sta distruggendo ancora di più i servizi pubblici di cui abbiamo bisogno quotidianamente.
Un movimento così forte non può continuare senza una sfida generale al sistema. Non può dimenticare la violenza della polizia, il razzismo e il sessismo, la transfobia, la lesbofobia e l’omofobia, lo sfruttamento sul lavoro e altrove, l’oppressione nei nostri quartieri, nelle nostre imprese, nelle nostre scuole o per le strade. E tocca a noi portare questi scontri.
Studenti e impiegati, precari e disoccupati, giovani quartieri, gilet gialli o combattenti sindacali … siamo più numerosi che mai sabato 8 dicembre, alle 10:00, sul piazzale della Gare Saint Lazare.
Gli organizzatori della manifestazione, giovedì 6 dicembre alle 19:00, Borsa del lavoro di Saint-Denis:
Les Cheminot.es de l’Intergare, Le Comité Adama, Les postier.es en lutte, L’Action Antifasciste Paris-Banlieue, Le Comité de Libération et d’Autonomie Queer, La Plateforme d’Enquêtes Militantes…
Infine inseriamo due articoli che segnalano, sottolineando le convergenze le contraddizioni e le possibilità aperte da una riflessione sull’ecologia radicale e la sostenibilità del pianeta. Non siamo disposti a bere la leggenda del Macron ecologista e nemmeno a dimenticare che uno dei più grandi crimini del neoliberismo è proprio il surriscaldamento climatico.
8 décembre : «Gilets jaunes et climat doivent pouvoir se rejoindre !»
Di Amandine Cailhole, da Liberation
A quatre jours de la marche pour le climat et de la mobilisation des gilets jaunes, qui doivent se tenir au même moment, des militants et des syndicalistes cherchent des points de convergence.
De nouveaux acteurs en soutien des gilets jaunes ? À quatre jours de leur quatrième grand rendez-vous, et alors que les annonces du gouvernement ne semblent pas avoir convaincu nombre de manifestants, difficile de prédire qui marchera avec qui, et où, samedi 8 décembre. Seule certitude : une digue a sauté. Et le mouvement des gilets jaunes, qui rendait jusqu’alors certains frileux, compte tenu de la présence, dans ses rangs, de quelques manifestants d’extrême droite, semble être devenu, à leurs yeux, plus fréquentable. Jusqu’à les convaincre de marcher avec eux ou du moins de leur tendre la main ? Le scénario apparaît de plus en plus possible, d’autant que la journée du 8 décembre sera aussi marquée par une autre mobilisation : la marche pour le climat, organisée de longue date par plusieurs associations environnementales. De quoi faciliter les choses pour ceux qui auraient encore du mal à enfiler la chasuble jaune.
«J’appelle les gilets jaunes à venir marcher avec nous»
Comme l’a fait la CGT samedi dernier, en appelant les gilets jaunes à rejoindre sa propre manifestation des chômeurs et précaires organisée le même jour, ils sont ainsi quelques-uns à inviter les gilets jaunes à défiler avec eux. «J’appelle les gilets jaunes à venir marcher avec nous le 8 décembre pour le climat en leur disant : la cause des inégalités et celle de la destruction de la planète est la même», a ainsi lancé le réalisateur et militant écologiste Cyril Dion sur le plateau de France 5, lundi. Chez certains gilets jaunes, l’idée fait son chemin. «On a un but commun : l’avenir de nos enfants, explique l’une d’eux, Julie, de Seine-et-Marne, qui se sent concernée par «l’idée de faire marcher les commerçants locaux, d’arrêter d’engraisser les multinationales, que nos taxes servent réellement à de l’écologie.»
Sans préciser qui doit aller vers qui, la députée européenne EELV Michèle Rivasi a elle aussi appelé «à la convergence des luttes pour la défense de l’écologie». Et d’expliquer : «Parce que la transition écologique suppose la défense de la justice sociale, gilets jaunes et climat doivent pouvoir se rejoindre !» Mais c’est sans doute Attac, l’association pour la taxation des transactions financières, qui a fait le plus grand pas à l’endroit des gilets jaunes. Dans une vidéo postée sur Twitter mardi matin, sa secrétaire générale, Annick Coupé, explique : «[Attac] sera dans la rue les jours qui viennent et en particulier le 8 décembre puisque c’est à la fois la journée internationale de mobilisation pour le climat mais aussi, en France, le quatrième rendez-vous des gilets jaunes.» L’association planche sur la possibilité de faire le lien entre les deux mouvements. «Les questions de transition environnementale et de transition sociale ne sont pas déconnectées»,pointe Aurélie Trouvé, porte-parole d’Attac.
Franchir le pas
Certains voudraient aller jusqu’à un appel unitaire signé par le monde associatif, politique mais aussi syndical. D’abord distant à l’égard des gilets jaunes, les syndicats ont quelque peu fait évoluer leur position, désormais plus ouverte, envers le mouvement. Ainsi, pour Solidaires, qui sera à la marche pour le climat, «le mouvement syndical doit prendre ses responsabilités et porter la transformation sociale». Philippe Martinez, le secrétaire général de la CGT reconnaît volontiers qu’il y a des points communs entre les revendications des gilets jaunes et de son syndicat. Mais son syndicat appelle à manifester le 14 décembre, jour où la Commission nationale de la négociation collective doit, comme chaque année, rendre son avis sur l’augmentation du smic. Et reste peu bavard sur le 8 décembre.
Pour l’heure, le discours des deux organisations consiste donc plus à dire aux gilets jaunes de venir vers elles et non l’inverse. Excepté des initiatives isolées, comme celle de la CGT chimie, qui a appelé le 29 novembre à la «convergence avec tous les mouvements de contestation, gilets jaunes, rouges sans gilet ou blouses blanches». Plus tôt, SUD industrie ou encore FO transport avait aussi franchi le pas. Dans une tribune publiée sur Médiapart, le 27 novembre, une soixantaine de «syndicalistes contre la vie chère», principalement de la CGT et de Solidaires, affirmaient aussi qu’il était «possible de s’engager collectivement dans cette bataille».
«Nous devons jeter nos forces syndicales dans la bataille»
Dans la lignée, ce mardi, c’est un autre soutien de taille qui a apporté un coup de pouce aux gilets jaunes : la CGT fonction publique. «L’heure est à l’action pour gagner sur les revendications. […] Nous devons aujourd’hui jeter nos forces syndicales dans la bataille.» La fédération a donc déposé deux préavis de grève : un du 9 au 31 décembre (alors que le mois devrait donner lieu à des annonces de l’exécutif sur la fonction publique) et un autre spécifique au 8 décembre. Ailleurs, dans certaines régions ou secteurs, l’appel est bien plus franc. Ainsi, selon le Courrier Picard, à Albert (Somme), des gilets jaunes et des élus CGT se sont rencontrés et ont décidé d’unir leur force le 8. A Besançon, l’antenne locale du syndicat SUD rail a aussi appelé à la «convergence des luttes»en participant aux manifestations des gilets jaunes, selon l’Est Républicain.
Reste une inconnue : à Paris, où les projecteurs seront braqués après la journée du 1er décembre, la marche pour le climat aura-t-elle bien lieu ? Craignant les débordements, le ministre de l’Intérieur a appelé, lundi, les organisateurs «à ne pas maintenir cette manifestation». Pas question, pour autant, d’annuler, pour Greenpeace France qui écrit sur Twitter :«A l’heure de l’inaction des politiques, il est impensable de ne pas laisser les citoyens faire entendre leur voix pour le climat le 8 décembre.»
Gilets jaunes : « L’écologie, c’est un combat de riches alors que cela devrait être un combat populaire ! »
Di Emmanuelle Riondé e Simon Gouin, da BastaMag
Basta ! est allé à la rencontre de gilets jaunes qui tiennent et animent des points de blocage en Normandie, près de Caen, et dans l’agglomération toulousaine. Ils sont retraités, anciens cadres, intérimaires, plombiers ou travaillent à l’hôpital. Certains ont déjà participé à des mouvements sociaux, d’autres non. Tous et toutes incarnent ce mouvement social inédit, et y voient une manière de reprendre la main sur leur vie, sur la politique, de retrouver un pouvoir d’agir : « Avec les gilets jaunes, les gens ont à nouveau une vision d’avenir. » Reportage.
« Attendez, je vais vous amener voir qui il faut… » Dans la zone de Lespinasse, où se trouve le dépôt pétrolier de Toulouse, au nord de la ville, des barrages filtrants sont établis depuis plusieurs semaines sur les rond-points. Le premier gilet jaune croisé fait le guide jusqu’au cabanon bricolé abritant thermos de cafés, croissants et autres victuailles apportées par des automobilistes solidaires. Un feu vif consume des palettes. La file de véhicules s’étire. Les klaxons des routiers, pouces levés, en soutien, retentissent.
Raymond Stocco, 64 ans, cadre retraité de l’aéronautique, est l’un des initiateurs de ce point de blocage stratégique. Mobilisé depuis plus d’un an pour « donner de la visibilité aux retraités », à leurs revendications sur la « non-augmentation des pensions de retraites » et face à leurs « pertes financières », Raymond a pris langue avec les gilets jaunes toulousains au début du mois de novembre. Et a aussitôt fait passer son message : « Pour être efficace, il faut des blocages économiques, il n’y a que ça qui pourra faire pression sur le gouvernement. »
« On se bat parce qu’il y a des gens qui crèvent de faim »
Depuis, devenu « référent » du blocage de Lespinasse, Raymond Stocco tâche d’être là tous les matins dès 4h30 et jusqu’au soir. « Entre les retraités, les chômeurs et les temps partiels qui sont très nombreux dans le mouvement, on peut s’organiser en trois-huit », sourit-il. Lui qui appartient à la première catégorie, après « une carrière à l’international », ne semble pas être particulièrement dans le besoin. « On se bat parce qu’il y a des gens qui crèvent de faim, l’intérêt général doit primer », lance-t-il.
Le bonnet rouge qui lui recouvre la tête lui a été offert par un cadre breton qu’il a « aidé » à monter un dossier prud’hommal lors de son « court passage syndicaliste »entre 2008 et 2010 à la CFDT. « Lors du conflit sur les retraites en 2010, au bout d’un moment, la hiérarchie a souhaité faire en sorte que le mouvement s’arrête. Je me suis rendu compte qu’en réalité, on nous demandait avant tout de générer des adhésions qui ne servaient qu’à une chose : la représentativité qui valait à chaque syndicat un chèque plus ou moins gros de l’État. Moi, je voulais que les CHSCT, les délégués du personnel, etc., aient des formations juridiques. On m’a répondu que je n’étais pas là pour ça. » Fin de l’expérience syndicale pour Raymond qui nourrit une défiance au moins aussi grande à l’égard des formations politiques, « lâches, menteuses, sournoises et manipulatrices ». Seul Jean Lasalle, dont il ne partage pas les convictions politiques, trouve grâce à ses yeux. « À part lui, il n’y a personne que j’ai envie de respecter. » Le 21 novembre, le député et ex-candidat à l’élection présidentielle, ancien de l’UDI et du Modem devenu indépendant, s’était présenté en gilet jaune à l’Assemblée, provoquant une suspension de séance.
Impacter les gros pollueurs
« Ok pour qu’on ait des porte-parole mais je demande à ce qu’ils soient apolitiques, non syndiqués et intègres. On est un groupe citoyen avant tout », insiste Raymond Stocco. En attendant que se structure un peu le mouvement, le retraité a pris l’initiative d’un petit « sondage » imposé aux automobilistes sur le rond-point. Avec deux questions : « Êtes-vous satisfait de la réponse de monsieur Macron ? » et « pouvez-vous clôturer vos fins de mois normalement ? » À la seconde, il assure que « 99% des gens répondent non ». À la première, il dit entendre de nombreuses « réponses très violentes. Les moins durs disent que Macron est un con et je reste poli… Il y a une haine, une amertume envers les élus qui est vraiment très forte. Et un besoin de parler : beaucoup coupent leurs moteurs pour discuter avec nous. Tout le monde n’est pas sur facebook ! »
Quid de la transition écologique, argument mis en avant par le gouvernement pour justifier la taxe carburant qui a mis le feu aux poudres ? « Ça pourrait être une belle chose mais le gouvernement aurait dû commencer par impacter les gros pollueurs, les porte-conteneurs, les avions. Ici à Toulouse, on est concernés : ils lâchent du kérosène en plein air quand ils sont en surcharge avant d’atterrir, on le respire [2]. C’est pas logique que ce soit les petits contribuables qui soient pénalisés pour cette pollution bien réelle des grands groupes. »
« Avec les gilets jaunes, les gens ont à nouveau une vision d’avenir »
À Caen, le dépôt pétrolier du Calvados, qui approvisionne la Normandie en essence, est aussi un lieu stratégique de blocage. Au bout de la petite route qui y mène, une vingtaine de gilets jaunes sont rassemblés. Au pied du rond-point, une cabane a été dressée par l’un d’entre eux « qui a traversé la rue et est devenu architecte », plaisante un gilet jaune, faisant référence à la déclaration d’Emmanuel Macron. Devant le campement, un panneau invite les automobilistes à s’arrêter prendre un café. Quelques palettes, un feu de bois, des paquets de gâteaux, du jus d’orange et un sapin de Noël avec des branches de bois. Et un bouillonnement d’idées à propos de leur organisation et de leur stratégie politique. Ici, on cherche une salle pour accueillir une assemblée générale ; là, on parle de renforcement des points de blocage ; à côté, on évoque la possibilité de porter plainte pour destituer Emmanuel Macron.
Dylan, un intérimaire de 24 ans, est présent parce que sa grand-mère ne s’en sort pas. « Elle ne sait pas comment elle pourra changer sa chaudière, dit-il. Un plein de courses, aujourd’hui, c’est 100 euros. » Avec le mouvement, le jeune homme s’est intéressé pour la première fois à l’histoire politique de son pays. « Alors que le pays est à feu et à sang », il y voit une grande solidarité et un espoir de changement. « Le mouvement, s’il réussit, a pour but de profiter à tout le monde. » « Avec les gilets jaunes, lance une autre personne, les gens ont à nouveau une vision d’avenir. Avant, il n’y avait qu’un “au jour le jour”. »
« Les riches et les pauvres vivent dans des bulles totalement séparées »
À quelques mètres de là, Timoléon Cornu est devant une file de camions stoppés pour une dizaine de minutes. « L’or noir, c’est le nerf de la guerre », explique le jeune-homme, devenu l’une des figures du mouvement calvadosien. « Le problème de notre société, c’est que les riches et les pauvres vivent dans des bulles totalement séparées. L’égalité, je ne la vois nulle part. Nous voulons faire en sorte que ces bulles s’entrecroisent, se rencontrent. Il faudrait avoir des représentants des gilets jaunes à l’Assemblée, pour redonner un peu de pouvoir au peuple. »
Timoléon Cornu vit à la campagne, à une trentaine de minutes au sud de Caen. Il travaillait depuis cinq mois dans la plomberie et le chauffage collectif quand le mouvement des gilets jaunes a démarré. Après une blessure à la cheville sur un terrain de football, son contrat d’intérim n’a pas été renouvelé. Pas de dette, pas d’enfants, Timoléon a quand même été obligé de retourner vivre chez sa mère après la rupture de son contrat. « Mentalement, c’est éprouvant », dit-il. « Chez nous, c’était l’assiette avant les baskets », raconte-t-il à propos de son enfance.
Au lycée, le jeune homme a manifesté contre le CPE (contrat première embauche, un sous-contrat de travail précaire réservé aux moins de 26 ans, abandonné après sa promulgation, en 2006), puis contre la loi Pécresse. Depuis, il ne s’est pas mobilisé et éprouve lui-aussi une certaine méfiance envers les syndicats, même s’il estime qu’ils pourraient être « des alliés de poids ». Ici, la politique se fait « à partir des besoins fondamentaux du peuple. » « Les partis politiques sont élus pour protéger les gens qui les ont mis là, estime une gilet jaune. Tel lobby, tel mec plus haut, tel copain du copain. Ils ne sont pas là pour nous, mais pour maintenir le peuple en bas. »
« Quand vous crevez la dalle, vous pensez avant tout à votre estomac »
« Je ne suis pas contre le fait de payer des taxes, poursuit Timoléon. Mais comment sont-elles redistribuées ? Où vont-elles ? » Le jeune-homme estime que les impôts devraient financer des transports alternatifs, des petites lignes ferroviaires départementales. « Chez moi, il y a seulement deux bus le matin, deux bus le soir, raconte Chloé Tessier, une autre figure des gilets jaunes normands. Comment fait-on au milieu ? Cela ne me fait pas plaisir d’avoir un vieux diesel qui pollue. Mais est-ce que c’est mieux d’avoir une voiture électrique dont un gamin a donné sa vie pour la fabriquer et qu’on ne sait même pas recycler ? »
Malgré leurs réflexions personnelles sur le sujet, les deux porte-parole reconnaissent que l’écologie n’est pour l’instant pas prioritaire dans les discours d’une majorité de gilets jaunes. « Quand vous crevez la dalle, vous pensez avant tout à votre estomac. L’écologie, c’est pour l’instant un combat de riches alors que cela devrait être un combat populaire ! » Une personne âgée s’approche du petit groupe pour donner un billet de 20 euros. « C’est pour vous soutenir », explique-t-elle. Des sacs de course sont aussi régulièrement déposés.
L’épineuse question de la structuration
Au pied du point de blocage du dépôt de carburant, la situation se tend. Face aux CRS, un petit groupe qui bloquait en amont de la route se replie vers le rond-point. À Caen, les gilets jaunes présents sur le terrain sont au final assez peu nombreux par rapport au mécontentement exprimé sur les réseaux sociaux, où des groupes rassemblent des milliers de citoyens. « 7000 messages sont en attente de validation, explique une modératrice de l’une des pages. On supprime les insultes, les menaces et les propos racistes. » La question de la structuration du mouvement est désormais au cœur des préoccupations.
« Il faut qu’on élise des ambassadeurs, suggère Timoléon Cornu. Certains veulent la destitution de Macron : qu’est-ce qu’on va faire ensuite ? On aura une autre calculatrice au pouvoir ? Nous devons parvenir à créer des commissions : sur la CSG, la revalorisation salariale, avec des juristes et une bonne méthodologie. Nous devons arriver avec des chiffres, des dossiers, des propositions… pour apporter tout cela dans l’hémicycle. »
« La différence avec les syndicats, c’est que nous, on ne s’arrêtera pas »
Au culot, les deux gilets jaunes ont obtenu un rendez-vous à la préfecture. « Je leur ai dit : “Je suis le dernier rempart contre les gens qui vont foutre le feu” », raconte Chloé Tessier qui a connu elle-aussi les mobilisations contre le CPE. Le lendemain, elle était reçue par deux sous-préfets. « Le peu de structuration est aussi notre force, indiquent les deux porte-parole improvisés. Puisque c’est un mouvement populaire, on ne peut pas déclarer en préfecture tous nos événements. » Samedi 1er décembre, après une marche dans le centre de Caen, des dizaines de gilets jaunes ont bloqué Mondeville 2, l’un des principaux centres commerciaux de l’agglomération. Mardi 4 décembre, les CRS ont évacué le point de blocage du dépôt de carburant.
Retour dans le sud-ouest. À Narbonne, Nathalie, jointe au téléphone, a rallié le mouvement dès le début. Âgée de 45 ans, elle travaille en milieu hospitalier depuis deux mois après avoir été pendant des années dans la sécurité incendie. Nathalie attendait « depuis longtemps que le peuple français se réveille un peu face à des dirigeants méprisants et irrationnels ». Jamais engagée dans une formation politique ou syndicale, elle n’a pas hésité à rejoindre les gilets jaunes : « La différence avec les syndicats, c’est que, nous, on ne s’arrêtera pas. »
« Cela ne s’arrêtera pas avec Noël et le nouvel an »
« Personne ne nous dit quoi faire, poursuit-elle. C’est le peuple qui se représente lui-même. C’est un lieu où l’on rencontre toutes les classes sociales, des artisans, des RSA, et où tout le monde porte sa propre croix, en quelque sorte. » Ne pas s’arrêter, mais pour atteindre quel objectif ? La réponse fuse du tac au tac. « On veut la destitution du gouvernement. Après, ce sera une chose à réfléchir… Mais pourquoi pas retourner la Ve République qui nous tue tous les jours. Ce qui est sûr c’est qu’on fera tout ce qu’on peut pour destituer ce gouvernement. Et ça ne s’arrêtera pas avec Noël et le nouvel an. »
Sans enfants, très déterminée, elle rejoint les gilets jaunes dès qu’elle quitte le travail et y passe le plus de temps possible. « On tourne, on se relaie, certains y passent des nuits », raconte-t-elle, louant « l’élan de solidarité » qu’elle observe dans le mouvement. « Ça se structure lentement, c’est bien, on apprend à se connaître. Nous sommes des gens équilibrés, avec des amis, des familles, des parents. On veut aussi un peu de vie, on ne peut pas être pris tout le temps. »
« Nous on mange des miettes, mais si on ne fait rien, les générations futures, elles, n’auront même pas ces miettes »
Pour Nathalie, les gilets jaunes « n’ont aucun syndicat, aucun parti » et ne sont « pas de gauche, pas de droite, pas d’extrême-droite ». Elle se méfie de la « propagande »qui, selon elle, relaie les dérapages racistes observés sur quelques points de blocage depuis le début du mouvement. « On essaie de garder les personnes intéressantes et d’écarter celles qui le sont moins. On n’est pas des SDF, ni des révolutionnaires… »Ces derniers n’auraient-ils pas leur place dans le mouvement ? « Si, si, au contraire, tout citoyen est pris en compte selon sa situation, y compris ceux qui n’ont rien,répond-elle. Mais je dis ça parce que c’est ainsi que certains essaient de nous présenter, mais on n’est pas n’importe qui. »
Le 24 novembre, Nathalie était à Paris et ce qu’elle y a vu n’était « pas joli » : « Des enfants, des femmes, des femmes âgées qui se sont fait gazés gratuitement ! On n’a rien compris à ce qui nous arrivait. » Pour autant, assure-t-elle, elle n’en veut pas à la police, qu’elle « soutient ». Tout comme le comité Adama (du nom d’Adama Traoré, décédé lors d’une interpellation policière à Beaumont-sur-Oise, en 2016) qui a appelé à se joindre au mouvement le 1er décembre à Paris et dont elle apprend l’existence. « Nous les soutenons aussi, nous sommes contre les violences gratuites. » En l’occurrence, ce sont surtout celles du système actuel qui l’inquiètent : « Je n’ai pas d’enfants mais j’ai des neveux et nièces qui sont aussi dans la rue. Nous on mange des miettes, mais si on ne fait rien, les générations futures, elles, n’auront même pas ces miettes… »