Disobbedire alle leggi ingiuste,
conquistare diritti,
scavalcare le frontiere.
- Partire in poche centinaia per una migrazione alla luce del sole attraverso le frontiere blindate del Centro America.
- Sviluppare una economia solidale in un paese in via di spopolamento, nel cuore del Mediterraneo e rigenerare una comunità meticcia che protegge e si protegge consapevole che nessuna persona è illegale.
- Indignarsi quando in una scuola elementare viene reintrodotto l’apartheid per via burocratica e rispondere con una colletta che in poche ore cancella l’ingiustizia.
- Occupare le case sfitte e difendersi assieme, rivendicando che “nelle nostra città mai più case senza persone e persone senza casa” e che “nel mio paese nessuno è straniero”.
- Imbarcarsi su una nave, dopo che minacce e intimidazioni hanno cacciato una dopo l’altra tutte le ONG che salvavano vite in mare per lasciare spazio alla militarizzazione senza controllo del Mediterraneo.
- Ribellarsi all’ignoranza scegliendo di contestare prima di tutti l’uomo forte del momento, la versione italiana di Trump e Putin, un bullo prestato alla causa della retorica nazionalista.
- Autodeterminare la propria vita e battersi affinché tutti possano farlo, scavalcando le frontiere, questa volta invisibili, che impongono ai corpi delle donne il dominio e il controllo.
- Scioperare, bloccando la produzione, per ottenere diritti e condizioni di lavoro dignitose.
- Sabotare la macchina di morte della guerra, disertare, bloccarne gli ingranaggi e rifiutare la militarizzazione della società alimentata anche dall’isteria collettiva che promuove l’uso dell’arma privata a tutela della “roba” (secondo un concetto per cui i figli sono come i mobili, innanzitutto una proprietà)
Ci sono tanti modi per cambiare il mondo qui ed ora, mentre si costruisce la possibilità per altri di cambiare e ci si scontra con chi invece sui privilegi della classe, del genere e della razza struttura la gerarchia di una società ingiusta. Per cambiare tuttavia bisogna scegliere e spesso scegliere significa stare dalla parte della giustizia, anche contro la legge.
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La grande differenza tra il mondo artefatto della retorica politica e quello reale della vita esplode da sempre sul tema della legalità. Ancora, a nostro parere incredibilmente, essa è presentata con disinvoltura (e sfacciata ipocrisia) come un punto di riferimento assoluto.
Non è forse la legalità l’insieme di regole che ha dettato, in ciascun momento storico, il potere costituito?
Lo sciopero fu illegale ed ancora oggi lo è in date condizioni ed in molte parti del mondo; lo stesso si può dire del divorzio e del matrimonio eguale, dei libri messi all’indice e dell’obiezione al servizio militare.
“L’obbedienza non è più una virtù”, diceva Don Milani.
“Disobbedire alle leggi ingiuste”, diceva Thoreau.
“Per ogni cuore che senta coscienza”, diceva una famosa canzone nel cuore del mattatoio della prima guerra mondiale.
“Diritto di resistenza”, praticavano migliaia di persone nel 2001 per le strade di Genova.
Oggi una in-cultura grigia e a-storica vuole fare della legalità un argine a difesa dell’ingiustizia, perché senza un processo di critica dialettica questa è l’unica funzione che essa può assumere.
La vita migrante conosce più di qualunque altra questo imbroglio. E’ quasi certo che un migrante regolare abbia una storia di clandestinità alle spalle, la ragione è semplice: il fatto stesso di migrare è fuorilegge, a causa di un intreccio crudele di leggi ingiuste e burocrazie severe (come si vuole che sia la legge).
Ciò che accade ai migranti è ciò che accade agli esseri umani, nella vita. Non esiste persona libera e appassionata della giustizia che non abbia una storia di illegalità alle spalle o, al massimo, di fronte a sé, in un futuro probabile in cui dovrà scegliere tra la legge e giustizia, obbedienza e coscienza. L’onestà con tutto ciò c’entra poco, se mai, è in gioco la dignità.
La legalità è un confine e il movimento antirazzista serve a superarlo.