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Foto 1
Soumaila Sacko, ammazzato il 2 Giugno 2018 in provincia di Vibo Valentia

“Laddove le persone sono costrette a vivere nella miseria i diritti dell’uomo sono violati, indipendentemente dal pezzo di carta che hanno in tasca” –
(Aboubakar Soumahoro 2018)

Ciò che accade nella piana di Gioia Tauro ha radici antiche.
Al Sud tra i braccianti organizzati Di Vittorio rivendicava terra, pane, case.
La mafia, la ‘ndrangheta, la camorra sono nate per contenere la rivolta e il desiderio di eguaglianza dei lavoratori più poveri del paese e infatti hanno sempre giocato un ruolo complementare a quello dello Stato nel mantenere l’ordine costituito.
Ancora oggi si ripete questa tenaglia: i migranti subiscono il ricatto della clandestinità a causa di leggi come la Bossi-Fini e la Minniti-Orlando; approfittando di questo contesto prospera una economia senza tutele e diritti fatta di caporalato, violenza quotidiana e talvolta omicida che costringe le persone a lavorare per tre euro al giorno vivendo all’interno di baraccopoli.

“Rubano il lavoro” dicono alcuni e talvolta per dimostrarlo aggiungono: “sono un esercito di lavoratori di riserva, quello di cui parlava Marx”. Infatti la riscossa che cerchiamo assomiglia ancora a quella di Marx (e non ha nulla a che vedere con i nazionalismi): trasformare il presente assieme a tutti coloro che contribuiscono alla ricchezza sociale. Castelvolturno e Rosarno sono soltanto alcuni dei luoghi in cui i lavoratori africani hanno dato vita a vere e proprie rivolte contro la mafia, represse assieme dalle cosche e dalle forze dell’ordine.

Foto 2
La nave Acquarius è bloccata in mare, i porti italiani sono chiusi, 11 Maggio 2018

Chi non salva vite umane sceglie la barbarie”.
(Ada Colau 2018).

Il diritto del mare non è soltanto quello delle convenzioni internazionali.
Per chi naviga c’è un porto in cui arrivare, a chi vive sul mare sembra un fatto naturale. La decisione machista e crudele del Palazzo contrasta con le consuetudini secolari, la legalità è in contrasto con l’etica, che si diffondono atti di disobbedienza civile. Pescherecci italiani e tunisini sono stati più volte accusati di favorire l’immigrazione clandestina, di portare in salvo vite umane, nel rispetto del diritto del mare. Accade lo stesso in tutte le frontiere, in Francia uomini e donne sono stati denunciati per aver aiutato chi attraversa le montagne e cerca di non morire di gelo. Non a caso si moltiplicano i progetti di legge per criminalizzare la solidarietà e colpiscono attivisti, cittadini dei territori di frontiera, organizzazioni non governative.

Anche quando le urne si riempiono di voti razzisti e la rete pullula di contenuti infami le frontiere che ci circondano trovano un ostacolo alla loro violenza nella solidarietà.

Il gioco del consenso è un trucco, basti pensare che in Italia abitano più cittadini stranieri privati del diritto di voto che elettori di Salvini, il nuovo Ras del paese, oppure all’imbroglio della libera comunicazione fondata sul possesso da parte di pochissimi privati dei canali ed ora anche dei big data necessari a farla funzionare. Eppure è un trucco che funziona, analizzare e svelare l’imbroglio non deve servire ad illuderci: l’Europa intera rigurgita cattivo rancore invece che rabbia degna, egoismo invece che lotta e l’Italia è in prima fila. Salire sulle nostre montagne, le piazze di tutte le città grandi e piccole, è un atto spontaneo come spezzare il pane per chi ha fame, ma occorrerà pensare a questa rivolta permanente dei giusti anche come uno strumento strategico di resistenza, come ad una talpa che non smette mai di scavare contro il fascismo.

Foto 3.
Mattanza di prigionieri di un lager libico. Gharyan, Libia, 15 Maggio 2018.
Gli accordi con la Libia e il decreto fatto dal ministero dell’Interno è niente di più e niente di meno che un atto di guerra contro i migranti.
(Gino Strada 2017).

In un campo di prigionia si presenta una banda di miliziani, porta via 200 persone per destinazione ignota. Alcuni dei prigionieri rimasti nel campo tenta di fuggire, la polizia libica spara alle spalle, ad altezza uomo e uccide.
Nel 2011 le dittature militari e corrotte che sigillavano la libertà del NordAfrica furono scosse alle fondamenta da una rivoluzione che attraversava il Maghreb e il Medio Oriente, la Primavera Araba. Subito sono cominciate le grandi manovre per determinare l’esito di quelle rivolte nel nome del pane e della libertà: oggi dove non sono tornate le stesse oligarchie di prima (come in Egitto), sono ancora in corso guerre civili devastanti in cui le milizie locali (delle più svariate nature) sono strumento per la rivalità tra Nato e Russia, tra Iran e Israele, tra Turchia e Arabia Saudita e ovviamente anche tra gli stati europei, gli antichi colonizzatori.
Questi sono alcune delle regioni in cui davvero Europa è sinonimo di ingiustizia e nello stesso tempo Terra Promessa.
L’Europa che ha spartito l’Africa per secoli e poi ne ha guidato la decolonizzazione, soffiando sul fuoco delle identità nazionali o etniche e alimentando guerre e genocidi (come in Ruanda), favorendo i golpe militari come quello che depose Thomas Sankara oggi è d’accordo su un solo punto: “la necessità di regolare il flusso”, come se si trattasse di un rubinetto. Si tratta invece della combinazione di due fatti antichi come la storia dell’umanità: il viaggio – essenza stessa del progresso e del “divenire umanità” – e lo sfruttamento che genera i flussi unidirezionali dai Sud ai Nord del mondo. L’Africa è un paradigma di queste due vicende, il continente in cui la vicenda di Homo Sapiens ebbe inizio ed anche il continente più sfruttato dalle nazioni Europee ed oggi anche da Cina e Stati Uniti.

Il paradosso
“Le masse popolari in Europa non sono contro le masse popolari in Africa. Ma quelli che vogliono sfruttare l’Africa sono gli stessi che sfruttano l’Europa. Abbiamo un nemico comune.”
(T. Sankara 1987)


L’operaio inglese medio odia l’operaio irlandese come un concorrente che abbassa il suo livello di vita. Si nutre di pregiudizi religiosi, sociali e nazionali contro il lavoratore irlandese. La sua attitudine verso di lui è molto simile a quella dei poveri bianchi verso i negri.

Questo antagonismo è il segreto dell’impotenza della classe operaia inglese. E’ il segreto grazie al quale la classe capitalista mantiene il suo potere.
(Karl Marx 1870


Queste fotografie raccontano la storia di centinaia di migliaia di persone che si sono messe in viaggio negli ultimi anni. La vicenda della migrazione racconta molto bene come il sistema economico sia fondato sullo sfruttamento, come prima e più di prima. Racconta come l’era dell’intelligenza artificiale, la nuova epoca post-ideologica, il mondo delle convenzioni internazionazionali e della globalizzazione, tutto questo è ancora fondato sullo sfruttamento.

Come è stato possibile trasformare questa vicenda nel cavallo di battaglia del nazionalismo sovrano? Quale paradosso della storia consente oggi di inneggiare alla sovranità delle nazioni europee dipingendole come vittime della migrazione Africana? Quale ipocrisia può presentare l’Europa come il continente “accogliente” e “solidale” in preda ad una crisi da eccesso di generosità che va curata con la medicina dell’autoritarismo?
Il nuovo corso della destra europea, che oramai caratterizza numerosi governi egemonizzati da partiti di estrema destra come il nostro, ma anche la sudditanza dell’intero discorso pubblico a retoriche nazionaliste, parte da questo paradosso. Lo scontro tra autoctoni e migranti è stata la chiave per imporre la logica della difesa della “roba” anche a chi non avrebbe nessun motivo per difendere la proprietà, meno che mai oggi, al tempo in cui sempre più la produzione è comune, frutto della cooperazione, materiale e intellettuale, della società.
La nazione è presentata idealmente come il proprietario collettivo, che deve tutelare il suo benessere contro l’arrivo di un povero, straniero che punta alla sua roba: questo è avvenuto al culmine del processo di privatizzazione selvaggia e di corruzione che ha fatto del pubblico (la forma di proprietà collettiva classica del secolo scorso) un modello negativo ed in via di estinzione.
Il popolo sovrano è declinato come la fonte di legittimazione del potere che deriva dai sistemi di governance dei paesi Occidentali, separando progressivamente le strade della parola “democrazia” e dei concetti di eguaglianza, pluralità, inclusione che la riempiono di significato.
Il debito è rappresentato come la grande colpa collettiva da esorcizzare con il sacrificio delle politiche di Welfare e la concorrenza tra chi cerca di accaparrarsi queste risorse: lavoratori sull’orlo della pensione, disoccupati di lungo corso, rifugiati, famiglie. Il realismo vuole che non ce ne sia per tutti, il mercato è pronto a colpire, mors tua vita mea.

Oggi, mentre costruiamo le fila di altri mondi possibili, rivendichiamo diritti e pratichiamo solidarietà una parte del paese urla: lasciatemi fare la guerra per difendere ciò che è mio: abbandonare le navi al largo, sparare alle spalle del ladro.

La sovranità della proprietà del capitale sopra le nostre vite ha prodotto la distruzione dei diritti sociali in Europa, così come ha mantenuto nella miseria miliardi di persone nel resto del mondo. Oggi, ben lungi dal metterla in discussione, la retorica “sovranista” propone di farla propria a ciascun “cittadino elettore”, a discapito della libertà e talvolta anche della vita, tanto sono quelle altrui, fino al giorno in cui la ruota non gira.

Due battaglie per la futura umanità.
Sono passati duecento anni dalla nascita di Marx ed è dunque normale che ciascuno abbia la sua versione da raccontarci: i socialisti e i comunisti, il diamat e l’operaismo, la Cina che lo celebra e l’Economist che lo rivaluta, i lavoristi e persino i razzisti che tentano di arruolare il “profeta” dell’internazionalismo proletario.
Inoltre, considerando che le parole non “significano” una volta per tutte è comprensibile che molti non sappiano più cosa vuol dire sinistra dopo i decenni della terza via da Blair a Renzi.
Questo non deve ingannare però sul fatto che ciò a cui il marxismo e la sinistra diedero voce è ancora tutto intero in mezzo alla storia dell’umanità come un’ipoteca che continua a determinare la scelta tra trasformazione e barbarie.


Reddito per tutti, razzismo per nessuno

Innanzitutto la liberazione progressiva dell’umanità dal comando sul lavoro, ovvero la liberazione del contadino dalla fatica di coltivare la terra grazie all’introduzione dell’aratro, la liberazione degli operai dallo sfruttamento indiscriminato grazie alla possibilità di lavorare meno e in maggiore sicurezza e la liberazione dei disoccupati e di tutti dal ricatto della fame, della privazione della scarsità. Le forze produttive sono aumentate enormemente negli ultimi millenni, con una accelerazione negli ultimi secoli che si è fatta esponenziale negli ultimi decenni: rivendicare reddito per tutt* incondizionato e affiancato da un sempre più ampio welfare universale significa dire ancora una volta “da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”. Introdurre il razzismo, la discriminazione sulla base della cittadinanza o qualunque altro argomento utile ad alimentare lo scontro nell’immensa moltitudine di chi affronta una vita precaria è un modo come un altro di essere crumiri. Alla guerra tra poveri preferiamo costruire connessioni utili per lottare assieme, conquistare e mantenere diritti e reddito, costruire l’esodo dal neoliberismo e l’autonomia delle nostre vite.

Stop War Not People
Nostra patria è il mondo intero cantavano gli anarchici del secolo scorso. L’internazionale futura umanità cantavano i comunisti.
Sinti, Rom ed Ebrei furono sterminati perché la loro millenaria storia diasporica ne faceva (all’epoca) soggetti irriducibili al nazionalismo che le classi dominanti avevano individuato in Europa come antidoto alle rivoluzioni sociali.

L’antifascismo europeo è soprattutto questo: la consapevolezza che l’Italia, la Francia, la Germania, il Regno d’Inghilterra, la Spagna… le nazioni europee, inneggiando alla propria grandezza sono spesso diventate dei mostri.
Certo vi sono molti antifascisti che hanno amato la patria, persino nazioni che in armi eroicamente hanno sconfitto Hitler. I loro soldati sono nello stesso sterminato cimitero della resistenza che ha salvato l’umanità, a buon diritto. Tuttavia l’essenza stessa dell’antifascismo è la consapevolezza che l’etica non può essere cancellata con il mito della nazione: la fraternità altrimenti si trasforma in un mostro di sopraffazione, l’eguaglianza in una ipocrisia, la libertà in un privilegio.
Prima gli italiani significa soprattutto: “dopo gli stranieri”, buoni per raccogliere pomodori, ma non per mandare i figli all’asilo, votare, ribellarsi.
Difendere i confini significava Caporetto, oggi il Mare Mortum due mostruosità con la ruota della storia a decidere chi è vittima e chi carnefice.


Vista dall’altra parte del mondo, nei tanti Sud del mondo (tra cui anche, per alcuni aspetti, il Meridione d’Italia) il fascismo si chiama soprattutto colonialismo e neocolonialismo. Dominazione diretta e sterminio (con poche eccezioni, come l’Impero giapponese, ad opera di bianchi su non bianchi) per decenni o per secoli e ancora sino ad oggi guerre di conquista, di rapina e per procura, devastazioni ambientali ed esproprio delle risorse, sfruttamento e schiavitù (in loco o “di esportazione” grazie alla tratta). Molti parlano oggi del “diritto di restare” e dicono che “il futuro dei giovani africani è in Africa”. Non possiamo che essere d’accordo, se si tratta di una rivendicazione, ovvero se si tratta della rivolta di un giovane africano che nella sua terra oppure da dentro un Centro di Accoglienza Straordinario si scaglia contro la guerra, esprime il desiderio di liberarsi della tutela delle grandi multinazionali del land-grabbing e dello sfruttamento indiscriminato del lavoro anche minorile. Siamo disgustati invece se questa diventa l’imposizione retorica da parte di qualche potente che governa gli stati europei, sempre in prima linea nell’esportazione di armi e nella promozione “dell’interesse nazionale” (ovvero degli affari che hanno a che vedere con la proprietà di chi comanda la nazione).

 

Questo nostro contributo è pubblicato anche sul sito di Euronomade.

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