Mi chiamo Vera Vigevani Jarach e ho due storie: io sono un’ebrea italiana e sono arrivata in Argentina nel 1939 per le leggi razziali; mio nonno è rimasto ed è finito deportato ad Auschwitz. Non c’è tomba. Dopo molti anni, altro luogo, in Argentina, altra storia: mia figlia diciottenne viene sequestrata, portata in un campo di concentramento e viene uccisa con i voli della morte. Non c’è tomba. Queste due storie indicano un destino comune e fanno di me una testimone e una militante della memoria
-Vera Vigevani Jarach –
MERCOLEDì 14 FEBBRAIOH.18,30 @ CANTIERE, VIA MONTEROSA 84
A SEGUIRE CENA LATINA
Italia, 1921.
Argentina, 1976.
Vera Vigevani Jarach nacque a Milano nel 1928 da una famiglia ebrea. Nel 1921 Benito Mussolini prense il potere e Vera e aveva solo dieci anni quando le leggi razziali le vietarono improvvisamente di andare a scuola.
Erano gli anni della dittatura fascista: di lì a pochi anni oltre 46 campi di concentramento sarebbero sorti sul suolo italiano per imprigionare ebrei, zingari, slavi, omosessuali, donne libere e oppositori politici. 10.000 di questi vennero deportati verso i campi di sterminio tedeschi e non fecero più ritorno.
La famiglia Vigevani si rense conto immediatamente della pericolosità della situazione e decise di lasciare l’Italia per cercare rifugio in Argentina, dove poteva contare sull’ospitalità di alcuni amici.
Dopo una lunga traversata in mare, Vera si stabilì a Buenos Aires, dove proseguì gli studi e potè crescere al sicuro, sposandosi e diventando madre di Franca Jarach, una ragazza che fin dai primi anni di scuola superiore si impegnò nelle attività politiche e sociali delle organizzazioni studentesche.
Era il 1976 quando il generale Jeorge Rafael Videla si impadronì del potere con un colpo di stato armato e instaurò una dittatura feroce, basata sulla persecuzione metodica ed efferata di tutti gli oppositori, di qualsiasi genere, età e provenienza. Bastava un sospetto per essere sequestrati, torturati e letteralmente fatti sparire: questa sorte toccò ad almeno 30.000 persone. Tra di loro anche Franca.
Come tante altre madri, Vera non si rassegnò all’ingiustizia e si unì al movimento delle “Madres de Plaza de Mayo”, che iniziò a ritrovarsi tutti i giovedì davanti al palazzo presidenziale, sfidando apertamente la dittatura e incrinando il muro di silenzio costruito intorno alla violazione sistematica dei diritti umani. Il loro impegno ha contribuito in maniera sostanziale al crollo di Videla, al reperimento di informazioni e, tragicamente, dei corpi dei desaparecidos e alla denuncia della dittatura e dei torturatori.
Le madri non si sono mai fermate, ancora oggi portano avanti la loro ricerca.
La figura di Vera Vigevani è tragicamente un filo rosso nella storia, che mette in evidenza la natura più brutale delle dittature fasciste del ‘900. Di fronte a catastrofi di questa entità, “Mai più” l’imperativo etico da affermare, ma perché queste due no siano semplici parole vuote, destinate ad arrendersi di fronte ai poteri reazionari, autoritari e xenofobi, è necessario tener viva la memoria e mantenerla fresca, affinchè possa servire da strumento sempre attuale, ad ogni latitudine e in ogni tempo.
Vera si definisce una “militante della memoria”: siamo tutti chiamati ad esserne i testimoni.