STOP GLOBAL WAR: AVEVAMO RAGIONE NOI. Non dimenticare genova per continuare a costruire altri mondi possibili.
Nel 2001 a Genova migliaia e migliaia di persone da tutto il mondo invasero le strade contro il g8, il vertice dei “grandi potenti” del mondo.
Era il movimento dei movimenti, capace di crescere a partire dal vento che dal Chapas a Seattle, da Praga a Goteborg, da Napoli fino a capoluogo ligure trascendeva ogni confine per distruggere con forza questo dispositivo cardine dell’economia neoliberista per cui le merci, le operazioni finanziarie, i flussi portatori di denaro e privilegio potevano muoversi liberamente, mentre le persone no.
Il movimento dei movimenti, meticcio e solidale pensava globale e agiva locale. Puntava il dito contro il modello neoliberista, contro quelle istituzioni mondiali come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale che senza nessun vincolo di consenso (come del resto i tecnocrati della finanza e dell’austerità dei nostri giorni) prendevano decisioni sulla pelle dei popoli.
Le resistenze sapevano unirsi, sapevano costruire pensiero e azione comune contro i comuni nemici, sognavano di costruire un mondo diverso e possibile più degno in cui vivere tutti con uguali diritti, libertà, capacità di autodeterminazione.
A Genova e nel 2001 l’avevamo detto: la globalizzazione avrebbe anteposto il profitto di pochissimi alle vite di 6 miliardi di persone e la guerra sarebbe presto diventata un fenomeno globale e permanente.
A 19 anni da quelle giornate, dallo scoppio di poche settimane dopo della guerra in Afghanistan e dall’invasione nel 2003 dell’Iraq ne siamo sicuri: avevamo ragione noi, ma questa non è per niente una consolazione.
La folle strategia di governance globale basata sulle guerre e sui bombardamenti, nonché sull’instaurazione e la complicità di dittature locali (dai talebani a Isis o Erdogan) passando per decine di realtà in ogni continente ha determinato la perenne esposizione al pericolo di morte di miliardi di uomini, donne e bambini, insieme alle carestie portate dagli ogm e alla miseria delle disuguaglianze del mercato globale.
Se già allora la governance dell’impero abbandonava l’unicità del proprio centro direzionale per scommettere sulla moltiplicazione e sulla dislocazione dei suoi centri di potere, oggi gli scenari di guerra stanno aumentando sfidando i limiti dei confini, la fortezza Europa (mentre si sgretola sotto i colpi di un nostalgico nazionalismo liberticida e razzista) non si può definire un caso a parte: decenni di politiche di emarginazione e di esportazione della democrazia a suon di bombe hanno innescato fenomeni sociali dirompenti come quello delle migrazioni di massa e l’altra faccia della medaglia della guerra, il terrorismo.
Il capitalismo dei disastri, la shock economy di Naomi Klein ci ha insegnato a chiederci sempre a chi giovano pandemie, catastrofi ambientali, crack economici, guerre e attentati, più o meno credibili colpi di stato. Se non ci consoliamo dell’aver avuto ragione diciannove anni fa, ci ricordiamo però della capacità di puntare il dito in modo chiaro sulle responsabilità e di moltiplicare la solidarietà e la condivisione di pratiche e immaginari costituenti capaci di resistere e produrre un altro mondo possibile. La pandemia ha esasperato le diseguaglianze sociali a livello locale e globale, ma è stata ed è ancora potenzialmente anche un portale verso altre dimensioni inedite, di mutualismo, solidarietà e alternativa.
A diciannove anni dall’omicidio di Stato di Carlo Giuliani, un cartello portato in piazza dal movimento black lives matter recita: “mi sembra assurdo dover ancora protestare per questo, ma eccomi qua”…ed eccoci qua.
…per noi c’è solo una parola degna e un’azione conseguente davanti ad ogni guerra: la parola NO e l’azione ribelle.
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>>> DOC: “La trappola”