MANIFESTO METICCIO – QUEER
a cura del Laboratorio Karaba, dell’Università popolare di SMS
Negli ultimi tempi abbiamo assistito al verificarsi di eventi che avremmo giudicato improbabili, che aprono la strada a scenari inediti e potenzialmente inquietanti. Dall’orrore del Bataclan e di Orlando, alla guerra in Siria, fino alla deriva sessista, razzista e oscurantista di Trump, all’incerto futuro dell’Europa…Viviamo un’epoca di grande confusione e dolore. Da dove cominciare per riprendersi da questi shock? Come rispondere a chi cerca di infiammare una guerra fra poveri, fra coloro che non sono allineati all’etero-patriarcato dell’uomo bianco?
La risposta sta nel sognare, praticare e consolidare un nuovo modello di comunità, non più complice di quel sistema che continua a tenere lontano e a screditare chi non è conforme alla norma.
La nostra strada comincia riconoscendo l’interdipendenza che caratterizza le nostre vite. Siamo precari, migranti, stranieri, donne e uomini stufi di vivere secondo regole e stereotipi che rendono le nostre vite invivibili. Siamo trans e soggettività queer che non accettano di rendere invisibili i propri corpi. Tutti attraversiamo gli spazi cittadini creando alleanze inedite. L’identità non ci basta più, vogliamo vivere nel rischio e nella potenzialità dell’incontro con l’altro.
Chi siamo e chi vorrà percorrere questa strada non lo abbiamo già deciso e sappiamo che questa è la nostra forza: trasformiamo la nostra paura in capacità di creare un contesto condiviso. In questo contesto rivendichiamo la necessità di poter-essere-altrimenti, per questo motivo nessuno deve essere invitato in questo spazio materiale e immaginario che costruiamo ogni giorno. Questo spazio è costitutivamente aperto e permeabile.
È necessario ora più che mai che il Movimento Queer riparta dalle sue radici, che ricordi la preziosa eredità lasciata dall’azione di Marsha P. Johnson e Silvya Riveira, che hanno sperimentato sulla propria pelle il risultato di un molteplice stigma per il loro essere donne, trans e di colore. Avevano capito che la pace è impossibile se non siamo in grado di comprendere il dolore che si cela nel cuore altrui.
E’ il momento di parlare di intersezionalità delle lotte: la speranza di un futuro migliore è nelle mani della società diversa che rifiuta di essere pacificata e sussunta, istituzionalizzata e patologizzata. E’ tempo di connetterci, di imparare gli un* dagli altr*, di fare esperienza di vita insieme.
Resistere, condividendo ispirazione e orizzonti con le battaglie per l’inclusione sociale e l’autodeterminazione degli individui contro la precarietà.
Autodeterminazione significa uscire dal ricatto del lavoro gratuito, dalla morsa dell’economia della promessa che crea insicurezza e individualismo.
Per i diritti dei lavoratori, per i diritti civili e sociali dei migranti; con la lotta delle donne per la costruzione di un paradigma antropologico nuovo nel quale l’obiettivo non sia più la parità di diritti o la condivisione di privilegi. Vogliamo cambiare le premesse che ci incatenano ad una dualità di chi sta dentro e chi sta fuori, dei corpi che contano e dei corpi di cui si può disporre. Contro il razzismo, l’islamofobia, l’antisemitismo, la misoginia e lo sfruttamento neoliberista. Nei prossimi mesi e nei prossimi anni saremo chiamati a intensificare le nostre richieste di giustizia sociale e a diventare più presenti e visibili in difesa delle persone rese sistematicamente più vulnerabili, a batterci per la loro vita e quindi per la nostra. Come prepararci alle sfide che ci attendono?
1) RUOLI DI GENERE
Rifiutiamo i ruoli di genere e ogni imposizione sulle nostre identità, sui nostri orientamenti, sulle nostre passioni. Chi essere e come vivere lo vogliamo scoprire noi. Non ci faremo ridurre a figurine stilizzate che si esprimono solamente attraverso le loro funzioni biologiche. Vogliamo giocare e mettere in pratica la liberazione, vogliamo occupare spazi relazionali e aperti. Non lasceremo al capitalismo neoliberista il potere di determinarci e patologizzarci in ogni ambito produttivo e riproduttivo delle nostre vite. Entriamo a far parte del mondo circondati da fiocchetti rosa e blu che ci assillano fin dalle nostre ecografie e che soffocano il nostro respiro e la nostra voglia di libertà e sperimentazione. Non possiamo scegliere con quali giocattoli vogliamo giocare, che vestiti indossare, che spettro di emozioni provare, chi e come amare, se e quanti bambini crescere, come e quanto guadagnare…noi così non respiriamo.
2) SEI SICURO DI ESSERE NORMALE? NORMALITA’ E DECORO CONCETTI FASCISTI.
E tu, sei sicur* di essere normale?
Uomo eterosessuale, possibilmente bianco, in grado di procacciare il cibo alla tua famiglia, per la quale rappresenti sicurezza e decisione? Donna eterosessuale, possibilmente bianca, in grado di prenderti cura di bimbi, anziani e marito con amore e dedizione (nel tempo libero dal lavoro, ovviamente)? Siamo sicur* di voler essere normal*? Ci accontentiamo di essere attori forzati di questa farsa?
La famiglia naturale, composta da un uomo e una donna eterosessuali ha modelli di comportamento molto ristretti e codificati. Il copione è molto semplice: lui e lei si incontrano, si amano e quindi si sposano, procreano e vivono felici e contenti per sempre. Questa narrazione è l’unica riconosciuta, l’unica naturale.
Ci domandiamo come mai tutta questa felicità abbia bisogno, per essere vissuta, di sonniferi e tranquillanti, di scappatelle non dichiarate e film porno, di violenza domestica e abuso, di esclusione dei meno fortunati e paura di perdere l’identità, di inferriate alle finestre e competizione continua, di droghe e alcool, di discredito dei “diversi” e possesso dei propri “cari”. Di donne madonne e di donne puttane, di veri maschi e “frosci”, di vincenti e sfigati.
Sarà per questo che la naturale normalità non ci entusiasma, non ci convince, non vogliamo far parte di questo film.
Stiamo molto meglio in un’anormalità che non stabilisce la nostra vita a priori e non ci obbliga a comportamenti deludenti depressivi e repressivi, ma ci permette di conoscere la diversità in tutte le sue forme affascinanti e ricombinanti in modelli sempre nuovi e diversi, fatti di soggetti e di relazioni, di avvenimenti e incontri, di un futuro sempre possibile e non stereotipato. Non vogliamo costruirci recinti in cui vivere fino a morirne.
Chi governa ha continuamente bisogno di leggi e norme che stabiliscano sia per decreto ufficiale sia per convenzione sociale chi è dentro e chi fuori, chi può esistere e chi no. Non è un caso che al ministro Minniti si possano oggi imputare due leggi rispettivamente in materia di cittadinanza e decoro. Alcuni esseri umani sono legali, altri no. Dove questo criterio non arriva viene introdotta la seconda suddivisione, quella tra bravi cittadini decorosi e cattivi soggetti indecorosi. La legge e la norma sono due facce della stessa medaglia, due dispositivi che agiscono in modo parallelo, l’una nel campo della formalità scritta e l’altra negli spazi dell’informalità orale. Entrambe le sfere sono dotate di apparati di polizia e sanzione, di incentivo e rinforzo. Quando la smania legislativa e normativa investe e soffoca ogni soggettività, ogni forma di vita e ogni desiderio di libertà l’essere-altrimenti diventa una urgenza. Per questo rivendichiamo con forza la nostra indecorosità, la nostra anormalità.
Se la violenza domestica è “normale”, vogliamo essere famiglie anormali.
Se essere licenziate quando rimaniamo incinte è “normale”, vogliamo essere mamme anormali.
Se essere uomini dominatori è “normale”, vogliamo essere maschi anormali.
Se essere donne silenziose e fragili è “normale”, vogliamo essere femminilità anormali.
Se essere gay o lesbica ha un canone “normale” alla dolce&gabbana, vogliamo essere gay, lesbiche, bisessuali anormali.
Se cambiare sesso implica una medicalizzazione “normale”, vogliamo essere transessuali anormali.
A-normali e a-normati, liberi di scegliere, liberi di essere.
Non sono solo discorsi astratti che trovano spazio in un qualsiasi “manifesto”, in concreto si parla dei circostanti che quotidianamente ci ritroviamo a vivere: Milano sta per ospitare il pride, giornata di lotta e festa. Peccato, pero’, che l’edizione 2017 della gay week sia già stata “decorosamente” macchiata dalla serie di dispositivi di sicurezza e legalità che vediamo messi in atto dal 17 giugno.
Lo dimostra il patto fatto tra alcuni commercianti e Carmela Rozza, Assessora alla sicurezza del Comune di Milano, attraverso cui è stata istituita una vigilanza “antidegrado”. Non è un caso che questa zona sia anche caratterizzata da una forte presenza migrante, e che quindi “indecorosi” saranno loro, non “altr*”, che lo sono tutto il resto dell’anno tranne che durante la gay week.
La denuncia delle politiche segregazioniste e di esclusione portate avanti con la scusa del “decoro” sarà al centro della partecipazione al Pride di Milano, il 24 giugno, della rete antirazzista Nessuna Persona È Illegale e delle realtà che ne hanno condiviso il percorso politico. Si tratta di un tema che evidentemente tocca da vicino le persone LGBTQIA, come ci insegnano la storia e la cronaca, ma che colpisce anche le persone migranti, soprattutto dopo i decreti Minniti e Minniti-Orlando. Le nuove norme permettono ai sindaci di allontanare da alcune zone delle città le persone considerate “indecorose” (in altre parole, poveri ed emarginati) anche se non hanno compiuto reati o semplici infrazioni.
A scanso di equivoci, quello che si sta sdoganando non è una sessualità più libera, ma come sempre la massimizzazione del profitto. Basti pensare da una parte alle dichiarazioni dell’ assessora al Commercio e attività produttive Cristina Tajani: “Quello della diversity è un tema di lavoro istituzionale che ci interessa perché porta anche sviluppo economico, una scommessa sul territorio che noi intendiamo affrontare”, e – dall’ altra – quanto successo a Napoli, dove la reazione al cunnilingus è stata un arresto con tanto di pubblica gogna.
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3) ETICHETTE? CHI LE VUOLE SE LE METTA, SE LE CAMBI, SE NE SPOGLI.
LGBTQIA+, Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transessuali, Queer, Intersessuali, Asessuali, Alleati, e molto di Più. Oltre ogni binarismo, che riduce a 2 tutta la molteplicità dei mondi. Cerchiamo un orizzonte oltre ogni semplificazione bipartita tra chi controlla e chi è controllato, chi sta sopra e chi sta sotto, chi serve e chi è servito. Rifiutiamo la catena di micropoteri che a partire dalla replica di un modello semplicissimo per cui qualcuno è privilegiato e qualcuno non lo è, utilizza la guerra tra poveri come meccanismo di controllo ed erode ogni possibile alleanza.
Il genere stesso è una struttura complessa e a doppio taglio, perché condensa al suo interno un complicato intrico di norme eterosessuali in una ampia gamma di sfumature che va dalla totale accettazione al categorico rifiuto.
M e F ormai non bastano più, ma aggiungere due, tre, sei, trentadue etichette rischia di replicare la stessa logica ordinatrice. Come antidoto possiamo immaginare la moltiplicazione delle etichette in modo esponenziale abbandonando il miraggio della definizione ultima.
Le etichette tornano comode all’occorrenza e permettono a molti di riconoscersi in una comunità ma sappiamo che non esistono due cloni per identità, orientamento, desiderio. Infinite lettere o nessuna: decostruiamo il genere per essere liber*.
Ma la decostruzione senza comune prelude all’individualismo, il primo passo verso l’infelicità collettiva. E’ costruire il comune dei generi il compito che dobbiamo porci: il comune di una moltitudine di generi, in continua transizione! Recuperare la pratica femminista del partire da sé, trovare la nostra identità senza ansia di stabilirla una volta per tutte, riconoscerci e riconoscere gli altri oltre le categorie di uguale e diverso, costruire alleanze intersezionali.
Performare il genere, giocare con le etichette, distruggerne la sacralità: indossarle, cambiarle, spogliarsene a piacere: c’è chi rivendica di essere gay, lesbica, trans, bisex, checca, zoccola, maschilità e femminilità multiformi, non egemoni e non allineate, asessualità, poliamore, etiche non-monogame, differenti morfologie corporee, disabilità. La soggettività, così come la discriminazione, è sempre situata e ha sempre una direzione, ma scompigliare le carte, disorientare le coordinate, moltiplicare le stelle polari può produrre esiti inediti e rivoluzionari.
4) METICCIO <=> QUEER. ALLEANZA DEI CORPI, CORPI E DIRITTI SENZA FRONTIERE e RIFIUTO DEL PRIVILEGIO.
Siamo meticci, siamo queer. Due sostantivi, una dichiarazione politica, e tutta la potenza di una soggettività sempre più visibile che sfugge alle pretese di definizione tradizionale e disciplinata. Meticcio e queer per noi significano lo stesso rifiuto di confini e privilegi, di volta in volta ci troviamo a fronteggiare le esclusioni in base alla razza, al genere e alla classe sociale. E’ il nostro modo di esprimere ogni forma del desiderio di una generazione che dai primi anni di scuola cresce intersezionale sia per provenienza etnica sia per identità di genere, accumulando una potenza che crediamo vada investigata ed alimentata, sia in termini di consapevolezza che di rivendicazione.
Siamo LGBTQIA+, ma vogliamo mettere le tende su quel + che esprime l’eccedenza dei corpi che sfuggono e oltrepassano i confini. Meticcio e
queer sono insulti che abbiamo reclamato e di cui ci siamo appropriati. Siamo bastardi e siamo strani. Siamo pronti ad assumerci questi termini, perché le nostre classi fin dall’asilo sono animate da prime, seconde e terze generazioni di persone provenienti da tutte le parti del mondo. Perché le lezioni di educazione all’affettività o di tecnica della contraccezione ci sembrano del tutto inadeguate. Perché le nostre passioni non si fermano davanti a stereotipi nazionali e dominanti. Perché crediamo sia assurdo che, mentre merci e oggetti attraversano con tanta facilità i confini, a persone che scappano dalla guerra e dalla povertà per cercarsi una vita degna, venga imposta l’illegalità.
Non crediamo nelle distinzioni dettate dal luogo di nascita e dai documenti, non crediamo nella divisione del mondo in alpha e beta; vogliamo essere liberi e lo vogliamo subito.
Siamo consapevoli che chi non ha i documenti si trova in una situazione di terribile negazione di diritti e dignità, oltre che di esistenza, ma anche la condizione dei ‘fortunati’ non è troppo libera. La prigione dalla quale vogliamo fuggire è proprio simboleggiata dalle due caselline: legale/illegale, bianco/nero, uomo/donna, etero/omo, ricco/povero a ripetizione e purtroppo all’infinito.
Siamo con le soggettività che non solo vivono l’intersezionalità ma la incarnano nei loro corpi come chi scappa dal proprio paese perché gay, lesbica, transessuale e/o donna, il paradosso è completo.
Vogliamo documenti per tutt*, ma crocette per nessun*, perché nessuna persona è illegale e nessuna persona è normale.
Parliamo di meticciato e non di multiculturalismo o integrazione proprio perché mettiamo in gioco le nostre identità, inventiamo corpi e comunità mai viste né immaginate prima. Le utopie non le sogniamo, le costruiamo. Vogliamo abbattere i confini, quelli fisici e quelli che abbiamo in testa, siamo potenza e rifiutiamo il potere: vogliamo Liberazione.