Le migrazioni sono un fenomeno sociale né emergenziale né contingente, il cui impatto mina le divisioni tra un noi, sempre più labile, dotato di identità culturali sempre più incerte, diritti, risorse, e loro, i senza diritti, i senza risorse, i bisognosi.
Sulle persone migranti vengono collaudate le tecniche di esclusione e di costruzione di una nuova gerarchia sociale che, poi, verranno applicate a tutte e tutti. E’ in atto una marginalizzazione sociale progressiva.
Il sistema istituito con la Convenzione di Schengen presuppone la limitazione della circolazione dei cittadini non europei. Ciò determina che per approdare nel vecchio continente sia necessario rivolgersi ai trafficanti di essere umani.
Solo nel Mediterraneo oltre 35mila persone sono morte. Le polemiche strumentali sulle navi delle ONG che salvano vite umane tendono solo a nascondere la triste verità: le persone migranti vengono lasciate morire e purtroppo a molti va bene così. Inoltre, la politica di esternalizzazione del controllo delle frontiere europee fa sì che sempre di più migliaia di persone siano rinchiuse in luoghi – spesso costruiti con fondi europei – in cui la tutela dei diritti umani non esiste.
Noi, invece, sosteniamo con forza e senza esitazioni che nessuna persona è illegale; intendiamo dire che la libertà di movimento degli esseri umani deve essere garantita.
In Italia e nella UE, al contrario, l’ingresso legale di fatto non è possibile: l’attuale normativa crea irregolarità, determina clandestinità, criminalizzando di fatto i migranti e gettandoli in un circolo vizioso di sfruttamento e marginalità. Noi rifiutiamo con forza la distinzione tra migranti regolari e migranti irregolari.
Le guerre in atto da decenni in medio-oriente, in Africa, in Asia ma anche ai margini della UE sono evidentemente e pesantemente gravate da pesanti responsabilità occidentali. Noi condanniamo gli accordi scellerati presi negli ultimi anni, tra gli altri, con la Turchia, con l’Egitto e con la pseudo-Libia, così come reputiamo inumani e fallimentari i tentativi, sempre in atto, di esternalizzare le frontiere.
Spesso il richiedente asilo non intenderebbe fermarsi nello stato di primo arrivo, ma tale possibilità è, invece, impedita dalla normativa europea, che
prevede che lo stato membro competente per l’esame della domanda di protezione internazionale sia quello d’ingresso. Noi reclamiamo la revisione
integrale del c.d. Regolamento di Dublino.
Non va neppure taciuto che a chi sopravvive al viaggio o alla traversata
rimane la sola possibilità, sempre più infruttuosa, di avviare la procedura d’asilo. Così, data l’impossibilità di accesso regolare in altro modo, le richieste si gonfiano a dismisura, facendo crollare l’accuratezza nell’esame. Il governo italiano, scambiando colpevolmente la causa con l’effetto, ha deciso quindi di eliminare un grado di giudizio quanto al riconoscimento del rifugio politico e a re-introdurre (perché l’inefficacia e le lotte dei migranti li
avevano azzerati) e moltiplicare i Centri di Identificazione ed Espulsione, rinominandoli
con eufemismo offensivo “per il rimpatrio”. Noi chiediamo l’abrogazione del decretolegge Minniti-Orlando, ormai convertito in legge.
Malgrado il panorama politico istituzionale sia, a dir poco, desolante, non smettiamo di lottare né di agire per il cambiamento. Crediamo con forza che la pratica sociale e l’azione politica indipendenti e dal basso siano vincenti.
Pratichiamo ogni giorno una solidarietà che configura un modello completamente diverso di accoglienza, che non considera la persona migrante
un sospetto da controllare né un povero da aiutare, ma un cittadino
carico di energie e creatività, che non costruisce “centri” basati sulla segregazione, ma crea contatto, conoscenza e mescolanza, che non contrappone i bisogni delle e dei migranti a quelli delle e dei cittadini autoctoni ma ricompone contesti sociali frammentati.
Le risorse attualmente disperse nel mantenimento del dispositivo militare e poliziesco destinato all’impossibile controllo delle persone migranti vanno indirizzate invece alla ricostruzione di una solida struttura di servizi sociali per tutte e tutti, indipendentemente dalla nazionalità.
Il razzismo non si combatte con le belle parole, ma solo cancellando dalle leggi e dall’immaginario l’oscura figura del “clandestino” e le paure che esso incarna, praticando il mutuo soccorso come alternativa alla competizione, saltando e facendo saltare le frontiere con la forza della solidarietà, perché se i diritti non diventano universali degradano a privilegi.