Ieri nel corteo
#nonunadimeno più di 150000 persone hanno invaso le strade di roma.
Contro femminicidio e violenza di genere, mostrando la pluralità di messaggi e desideri che si è in grado di mettere in campo contro il sistema del capitalismo e del patriarcato.. oggi si è andati avanti con dei tavoli di lavoro, svolti nella sede di psicologia dell’Università La Sapienza di Roma, tantissimi i contributi di costruzione per poi arrivare alla plenaria .
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> LEGGI IL VOLANTINO BREVE:
Siamo convinti che sia più importante che mai respingere al mittente ogni forma di violenza di genere, dai micropoteri quotidiani dei comportamenti offensivi e minacciosi agli stupri e alle violenze da parte di quelli che non sono pazzi isolati accecati da qualche passione, come li ritraggono spesso i media, ma replicanti di un modello che dura ormai centinaia di anni che si basa sulla subordinazione esul dominio.
Il sistema del capitalismo ha bisogno di suddividere la popolazione per ordinarla, gestirla e trarne il massimo profitto, se storicamente la bipartizione uomo-donna come fondamento del nucleo minimo di produzione e riproduzione poteva bastare, oggi il neoliberismo si fa più complesso: parità, pinkwashing, gayfriendly sono tutte parole chiavi di una ristrutturazione del potere che moltiplica le etichette per aumentare la capillarità del controllo sociale e della presa delle strategie di mercato.
Siamo donne e ci rifiutiamo di firmare contratti che ci costringono ad avvisare il datore di lavoro come prima persona dei nostri desideri di maternità per permettergli di licenziarci meglio, ma siamo anche parte di una generazione precaria per cui “parità” non vuol dire adeguare i diritti al rialzo ma al ribasso: con il job act chiunque può essere licenziato senza giusta causa,
Siamo gay e lesbiche e il modello “Dolce e Gabbana” non ci sembra affatto dimostrare una liberazione dei nostri corpi e dei nostri desideri: vogliamoe ssere soggetti di diritti, non di mercato.
Siamo transessuali e non vogliamo essere considerati “malati” di serie z, siamo bisessuali e no non siamo indecisi, siamo intersessuali e no non ne possiamo più di sentirci dire che “per natura funziona così”
Siamo maschi, ma non machi e basta pretenderlo che il dominio piace solo ai padroni e noi i potenti li combattiamo, uniti a chi come noi vuole essere libero e felice.
GIOVED’ 24 DICEMBRE, H.18,30 @ CANTIERE, INCONTRO:
“Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria”,
con la traduttrice Luisa Vicinelli e in collegamento l’autrice Silvia Federici
e con il laboratorio di UniPop, l’Università Popolare dello Spazio di Mutuo Soccorso
> LEGGI IL CONTRIBUTO A CURA DI CANTIERE.ORG
Calibano, la Strega e le nuove soggettività ai tempi di quote rosa e pinkwashing
Buongiorno, o forse non tanto, ma siamo nel 2016 se non ve ne eravate accorti.
A Catania è morta una donna per un aborto spontaneo. Siccome il concepimento era stato assistito il medico obiettore ha incrociato le braccia e l’ha lasciata agonizzare. Il primario dell’ospedale ha dichiarato con naturalezza “nel mio reparto i medici sono tutti obiettori” (e pensare che è anche il presidente dell’ordine di ostetricia e ginecologia italiano). Se in Sicilia il tasso di obiettori è all’80%, in tutta Italia non si scende mai sotto al 50% (a parte la Val d’Aosta): in pratica Valentina aveva più probabilità di essere lasciata morire che di ricevere le cure in un ospedale pubblico.
A Roma Sara è stata ammazzata dal suo ex fidanzato che non accettava che la loro storia fosse finita. E’ stata inseguita, cosparsa di benzina e bruciata viva in mezzo ad una strada. Qualche testata giornalistica ha pensato bene di chiamare questo caso, ancora una volta, “omicidio passionale”, ma del resto la Rai ha scelto tema il tristissimo nome di “amore criminale” per un programma sul tema. Ma quale amore? Ma quale passione? Non c’è amore senza Libertà e chi imprigiona in una gabbia di pressioni psicologiche e fisiche che arrivano all’assassinio la libertà di scegliere e decidere per sè non è innamorato pazzo, ma solo un assassino che si presta ad essere garante nel proprio piccolo di un sistema di potere e di subordinazione che regge finchè è pervasivo.
In Calabria una ragazzina di 13 anni è stata stuprata per anni da un branco capeggiato dal figlio di un boss ‘ndranghetista, dal figlio di un poliziotto e dal figlio di un carabiniere, tanto per non dimenticarci che la violenza di genere è un fatto di sistema. La mamma aveva intuito qualcosa, ma si è preoccupata per “l’onore” della figlia e della famiglia, tanto sono introiettati i modelli dominanti in Italia.
Una ragazza di 17 anni è stata stuprata nel bagno di una discoteca, da un ragazzo che evidentemente ha pensato che essere ubriachi corrisponda ad un sì. Il particolare agghiacciante è che le amiche hanno ripreso l’intera scena dal bagno di fianco ridendo e condividendo il tutto su whatsapp, sintomo di una pericolosissima normalizzazione della violenza che arriva a non essere più percepita come tale anche tra le stesse donne in alcuni casi.
Tiziana si è suicidata perchè non sopportava più le umiliazioni moraliste e bigotte con cui doveva continuamente fare i conti dopo che un video porno con lei protagonista era diventato virale. Tiziana è morta per colpa di un’ipocrisia che vuole le donne nude sui cartelloni, sempre disposte a darla agli uomini che non devono chiedere mai, ma poi anche caste e asessuate angeli del focolare: una morsa in cui non c’è spazio per i desideri femminili. Tiziana è morta perchè chi dice “puttana” è più interessato a offendere indistintamente il genere femminile che a denunciare forme contemporanee di schiavitù spesso razzista o affrontare scelte di autodeterminazione consapevole.
E’ più facile così.
Valentina, Sara, Tiziana…ma quante altre donne devono morire per colpa della violenza di genere? Quante donne possono dire di non aver mai ricevuto un apprezzamento un pò troppo pesante da un conoscente, un’occhiata di chiara minaccia in giro per strada, un ricatto più o meno implicito da un professore o da un superiore al lavoro? Ecco, questa è tutta violenza di genere.
ROBA VECCHIA?
Chi dice che il femminismo è roba vecchia forse si è accorto di essere nel 2016, ma non si è reso conto del mondo in cui vive.
Nella storia del capitalismo la ripartizione ferrea della società tra uomini e donne con l’imposizione rigida dei ruoli produttivi e riproduttivi ad essa connesse è un caposaldo imprescindibile della tenuta del sistema economico e sociale.
La formula può essere semplificata così:
– Dagli uomini estrarre profitto e valore dalla loro forza lavoro (sotto)pagata,
– Dalle donne o meglio dal loro utero estrarre nuova forza lavoro maschile da (sotto)pagare: un #fertilityday lungo centinaia di anni, insomma (ovviamente anche estrarre profitto e valore con rendita al 100% dal lavoro femminile sommerso e gratuito schifo non ha mai fatto…)
Se le donne hanno conquistato diritti e libertà e se ai macro-cambiamenti sono corrisposti micro-cambiamenti nelle relazioni quotidiane è grazie ai movimenti femministi di tutto il mondo e non certo per una civilizzazione insita nel progresso occidentale (anzi abbiamo visto i disastri dell’esportazione colonialista dei “nostri” modelli in Congo, in Nicaragua o in moltissimi altri paesi o delle rivolte delle femministe indiane o africane ad accettare il modello bianco di donna predeterminata e universale).
Un grosso contributo nella destituzione delle due uniche identità di genere dominanti, maschio alpha e donna succube, è arrivato anche dai movimenti LGBTQI, che da Stonewall in poi hanno messo in discussione che tutti i gli uomini sono machi e tutte le donne (streghe o) angeliche.
Anche i progressi scientifici hanno fatto la loro parte: non può lasciarci completamente indifferenti scoprire che l’1,7% delle nascite vede bambini intersessuali.
Come spesso accade nel mondo del capitalismo, ad ogni crisi tende a corrispondere una ristrutturazione, un adeguamento del potere che tende a sussumere per quanto possibile le eccedenze e le soggettività ribelli e alternative, ad aggiornarsi e ristrutturarsi per uscire vincitore dalla sfida che gli è stata lanciata.
CHE TUTTO CAMBI PERCHE’ TUTTO RESTI COME PRIMA:
Al cambiamento dei processi produttivi determinato dalla fase del neoliberismo, corrisponde un’evoluzione dei dispositivi di disciplinamento, biopotere ed estrazione di profitto dalle identità di genere.
“Pari opportunità” o “quote rosa” è diventata la condizione imprescindibile di un pinkwashing che non ha niente da perdere nell’unificazione dei livelli di precarietà di genere adeguati al ribasso: dire parità è gratis, cancellare ogni garanzia nel mondo del lavoro con il job act fa guadagnare eccome. E’ importante però non dimenticarsi di puntare il dito contro quei modelli di contratto che obbligano le donne a comunicare al proprio capo prima ancora che alla propria famiglia il semplice desiderio di maternità, in modo da permettergli di licenziarle per tempo. Non dobbiamo sottovalutare nemmeno la differenza retributiva per uguale incarico o che ci sono lavori che una donna può fare facilmente e altri di difficile accesso. Questo del resto vale pure se sei evidentemente omosessuale, per non dire transessuale!
Due sole etichette di genere e la famiglia tradizionale non bastano più nel 2016 per catalogare l’intera popolazione, nè in termini di controllo nè in termini di mercato. Il sistema non ha smesso di essere sessista, omofobo o di reggersi sui nuclei domestici come unità minime di ri-produzione, ma serve che “tutto cambi perché tutto resti come prima”:
– le donne (qualche donna non esageriamo) possono diventare manager, soldatesse o addirittura presidenti degli Stati Uniti, ma solo a patto di incarnare ugualmente o addirittura più degli uomini i caratteri associati a potere e dominio e di restare incasellati nei ruoli utili al mantenimento dello status quo (licenziare i dipendenti, ammazzare i civili in Afghanistan…),
– il parlamento approva le Unioni Civili, sicuramente in seguito alle pressioni delle coppie di fatto, ma anche per normare al meglio le famiglie che non era più in grado di afferrare,
– Expo 2015 e tantissimi eventi ed enti privati si dichiarano gay friendly, per non rinunciare a nessun lavoratore-volontario o cliente sborsa-soldi.
Ah, chiaramente rimangono nell’ombra tutte le persone che si ostinano a non rientrare nei rigidi binari della comoda eteronormatività.
INDIETRO NON SI TORNA, UNA RIVOLUZIONE CI SALVERA’:
Certo che l’autodeterminazione sui corpi e le scelte di vita resta questione imprescindibile, certo che ogni violenza di genere è sui generis e il protagonismo specifico nella costruzione di pratiche di resistenza è fondamentale, ma è altrettanto certo che oggi è indispensabile cogliere la complessità delle soggettività non allineate di genere per poter combattere non solo il sessismo, ma anche il sistema di biopotere neoliberista.
La questione dei processi di soggettivazione si fa di difficile risoluzione, tra le proposte di decostruzione del genere e l’esigenza di trovare minimi comuni denominatori per la costruzione di lotte collettive e rapporti di forza in grado di affermare che siamo nel 2016, che indietro non si torna e che non si sta neanche fermi, perchè una rivoluzione ci salverà.
Non pensiamo che la risposta sia da cercare OGGI nella rigidità delle categorie, donne come donne, eterosessuali come eterosessuali, omosessuali come omeosessuali. Pensiamo che sia importante scommettere sulle SOGGETTIVITA’: gli americani votano Trump? Vero, ma il più alto numero di “foreign fighter” in Rojava è di origine americana. Essere donna e basta non è più un dato significativo di per sè (Clinton docet), così come dire omosessuale non implica nulla a priori delle scelte partigiane (vogliamo parlare dei “Gay per Forza Italia” o di quelli con indosso la divisa SS?). Eterosessuale del resto non è solo chi va tutte le domeniche in chiesa, ma anche chi, nei percorsi di lotta, ha praticato e pratica insieme alle altre e agli altri sperimentazione, autonomia, libertà, rispetto dell’altr*.
La libertà viene prima di qualsiasi modo di amare. Libertà significa esprimersi per come si è. E’ amarsi per come si è e di conseguenza amare gli altri per come sono. La Libertà è stata nel corso dei secoli Liberazione dagli schemi del capitale e pure dalle logiche della chiesa: Liberazione dalle menzogne inculcate, scoperta di se e degli altri, non come omologhi, ma come eguali nella diversità delle esperienze e soprattutto nella decisione comune di essere liberi e felici.
Le piazze dei movimenti di genere degli ultimi mesi sono state tra le più partecipate nelle città italiane e la ridicolizzazione sistematica delle varie sentinelle in piedi di turno ha espresso in maniera potente, efficace e contagiosa il tema dell’antifascismo.
RIFIUTARE IL DOMINIO, COSTRUIRE IL COMUNE:
Come dicono Pepe Mujica e altri noti precursori, se non cambia la testa non cambia nulla.
C’è bisogno di una rivoluzione culturale, che ripudi il dominio e la volontà di potere: che chi subisce una forma di dominio dica “non voglio essere dominat*” è oggi come ieri fondamentale, ma di fronte ad un attacco trasversale alle identità di genere (compreso il maschio eterosessuale che DEVE essere dominatore) è altrettanto importante che chi viene investito dello scettro di potere rifiuti il suo ruolo e sia in grado di dire “il dominio se lo tengano Lorsignori, io i padroni li combatto”.
Come diceva Chandra Talpade Mohanty, nella dinamica del neoliberismo globale e contemporaneo non si può prescindere da “pratiche di solidarietà e dalle possibilità di una lotta comune che accomuni attraverso le differenze”.
Se pensiamo alla varietà di modi con cui le donne venivano costruite come “altro” nell’immaginario maschile ne “Il secondo sesso” da Simone de Beauvoir, ci rendiamo conto della complessità di percezione dell’alterità oggi. Se le donne delle analisi del 1949 avevano già risposto realizzando se stesse in maniera autonoma mettendo in pratica progetti di vita alternativi, oggi tutti questi progetti di vita alternativi devono conquistare spazio tra le grinfie di un neoliberismo molto più subdolo e capillare dal punto di vista del controllo sessista e molto più capace di mettere in crisi prima di tutto l’immaginazione: sì certo, c’è ancora il volto di RadioMaria che da la colpa del terremoto alle unioni civili, ma c’è anche quello di chi ha visto nella guerrafondaia e portavoce di Wall Street Hilary Clinton una possibilità unica di emancipazione femminile e ci sono poi i vari Dolce e Gabbana che passano per manifestazioni della libertà omosessuale (eteronormata ovviamente).
Esperienze di microcredito in Bangladesh, cooperative di donne in West Bank o imprese sociali in Europa e Stati Uniti possono essere esempi di progetti di vita alternativi, quando pensiamo alle enormi diseguaglianze esistenti ovunque nel mondo del lavoro, sul piano dell’accessibilità, su quello dell’autonomia e su quello del reddito. Difficile non pensare facendo un passo oltre che un reddito sociale garantito per tutte e tutti disinfesterebbe ogni humus fertile per la guerra tra poveri e libererebbe tempo prezioso per la produzione di progetti di vita realmente liberi.
PRATICHE DI LIBERAZIONE QUOTIDIANA:
Non c’è autodeterminazione senza consapevolezza e se nelle scuole l’educazione sessuale è scomparsa e se alla Statale di Milano l’unico dipartimento che affronta temi di genere è un osservatorio sulle pari opportunità istituzionali delle donne non ci siamo proprio. L’impegno nella costruzione di autoformazione è cruciale.
La costruzione di anticorpi e solidarietà nei quartieri lasciati dai processi di gentrification e speculazione in pasto ad ogni genere di radicalizzazione xenofoba, religiosa e neofascista è qualcosa di imprescindibile, se teniamo a mente che tanti voti al Front National di Marine Le Pen arrivano proprio dalle Banlieu ad alto tasso di immigrazione grazie alla convergenza sui temi dell’aborto e dell’autodeterminazione dei corpi. Il modello opposto a quello della segregazione è quello del meticciato e da qui probabilmente potremmo prendere spunto.
Aggiungiamo che il meticciato offre risorse preziose dal punto di vista dei saperi e se in Europa ci troviamo spesso arroccati su trincee difensive senza brillantissime idee teoriche e pratiche, ascoltare le voci di chi arriva da lontano può essere una risorsa preziosa: il movimento NIUNAMENOS e il femminismo andino sono oggi in grado di scuotere un intero continente, pensare globale e agire locale è un imperativo ancora del tutto attuale.