CHI HA ELETTO TRUMP? COSA CI ASPETTA ORA? COSA FARANNO I MOVIMENTI CHE STANNO RIEMPENDO LE PIAZZE AL GRIDO: “NOT MY PRESIDENT, FUCK THE WALL”?
Ne parliamo mercoledì 23 Novembre alle 18.30 al Cantiere con Bruno Cartosio, docente di Storia dell’America del Nord, e Guido Caldiron, giornalista e scrittore di “WASP. L’America razzista dal Ku Klux Klan a Donald Trump”. Proietteremo inoltre “TrumpLand”, il film profetico di Michael Moore che aveva previsto l’elezione di Trump. A seguire aperi-cena a prezzi popolari.
Il 18% circa dei cittadini ha eletto Trump; non si tratta della “rivolta della classe operaia”, dellaquale sicuramente Trump non è il sostenitore, ma del voto di un feticcio della working class: depurata di ogni diversità, fondata sulla comune appartenenza razziale, prevalentemente maschile, virile. Così definita, questa non è una classe sociale, ma un mito delle origini. Lo dice chiaramente lo slogan con cui Trump si è fatto strada durante la campagna elettorale:”Make America great again”: i membri della classe bianca rimpiangono i bei tempi andati e si presentano come la classe lavoratrice, indipendentemente dal loro effettivo reddito, presi dalla paura di scivolare ancora più in basso. Il principale artefice di questo disastro culturale è proprio il clintonismo, nel cui vuoto si sono insinuate narrazioni tossiche, nostalgia, razzismo e il discorso esclusivo dei suprematisti bianchi. Hilary Clinton rappresenta esattamente chi ha perseverato nell’impoverire il Paese, l’establishment delle lobby di potere da colpire perchè titolare del capitalismo finanziario globale a cui i lavoratori sono statai consegnati, impoveriti dall’aggressione finanziaria.
Non è però possibile vedere il voto a Trump soltanto in termini di classe o di provenienza geografica. Trump è un miscuglio che accomuna diverse classi e che coagula stereotipi e gerarchie che intrecciano tanto il genere uanto la razza; in particolare, per uest’ultimo aspetto, non si possono non considerare il sostegno a Trump del Ku Klux Klan e altri movimenti organizzati di estrema destra bianchi suprematisti. La paura della perdita del privilegio simbolico (e materiale) produce risposte isolazioniste. Eleggere Trump significa preferire tutto ciò che rappresenta al posto della tutela e della rivendicazione dei diritti delle minoranze, ma significa anche avere in mente un’idea di società basata su esclusione e sfruttamento.
Chi ha deciso di non scegliere il meno peggio, nè le lobby finanziarie del potere, nè la rabbia, nè la paura, ha deciso invece di riempire le piazze di Berkley, San Francisco, Oakland, Seattle, Los Angeles, New York per ribadire un messaggio forte e chiaro:”Not my president. Fuck the wall!”. Uesto il grido dei giovani, e non solo di chi lotta da tempo per i diritti civili (BlackLivesMatter o FightFor15), che rifiutano il muro dell’intolleranza, che decidono di non abbassare la testa, di rifiutare le grandi poltrone della finanza, la precarietà, l’austerity, ma anche il razzismo, il sessismo, la guerra e i muri. La speranza è che la rabbia prevalga sulla depressione apatica, sul tentativo di normalizzare l’orrore, sul tentativo di venire a patti con la marea fumante che già monta; ma che si tratti di una rabbia razionale, lucida, organizzata.
Contributi:
Leggi i contributi del Cantiere sulla vittoria di Trump e il voto dell’odio.
Leggi i contributi del Cantiere sui movimenti di protesta in USA #NotMyPresident
Leggi “Nazional-Operaismo e guerra razziale” di Franco Berardi
Leggi “Nello specchio di Trump. 7 tesi sulle elezioni presidenziali negli Stati Uniti” del Collettivo Euronomade.
Guarda il trailer di “TrumpLand”, il film di Michael Moore che ha predetto la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali degli USA.