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A due giorni dal seminario di Commonware ed Effimera (vedi articolo) ospitato dal Cantiere e dallo Spazio di Mutuo Soccorso, a Milano, pubblichiamo questo interessante contributo sulla crisi e la composizione di classe globale
 
di Franco Berardi Bifo.
 
Nel bunker
Alla fine del 2013 un gruppo di attivisti della Baia di San Francisco lanciò una protesta contro i Google bus che portano ogni giorni i lavoratori cognitivi dalla città a Mountain View, 60 chilometri di distanza. I Google bus sono degli ingombranti mezzi di trasporto che funzionano in realtà come uffici mobili per i lavoratori della net-corporation. A bordo del bus i nerd lavorano con l’allegra coscienza di essere i protagonisti della virtualizzazione finale e della bunkerizzazione definitiva. Al di là dei suoi aspetti immediati (difesa dello spazio pubblico dall’invadenza di mezzi privati) quella protesta illumina la nuova stratificazione del lavoro. Una stratificazione che richiede concetti nuovi.La composizione della società globale contemporanea si articola intorno a una fondamentale separazione tra sfera sociale bunkerizzata e sfera sociale non bunkerizzata.Il bunker è l’area tecno-produttiva e urbano-esistenziale in cui agiscono la classe finanziaria e i lavoratori cognitivi. E’ la sfera in cui si svolgono le due funzioni sociali connesse e ricombinanti: quella della decisione finanziaria che domina e sfrutta il ciclo del lavoro sociale
complessivo, e quella del lavoro cognitivo prevalentemente precarizzato, ma parzialmente protetto dal bunker in quanto lavoro necessario all’accumulazione di capitale.Naturalmente entrambe queste funzioni sono estremamente stratificate e frammentate al loro interno. Questa sfera tende a divenire sempre più connessa, virtualizzata e sigillata rispetto alla società territoriale che vive al di fuori del bunker, nella quale si trovano ad agire i lavoratori industriali, e l’area crescente della povertà e dell’emarginazione.

La sfera extra-bunker è composta da tutti coloro che non hanno una collocazione all’interno del ciclo connettivo. Possono disporre o meno di congegni tecnici connettivi per la loro vita privata, ma il loro lavoro e le loro forme di socializzazione si svolgono nel rapporto diretto con la materia fisica della produzione e nel territorio non protetto della metropoli.

Extra bunker

Là fuori si estende inoltre l’immensa e crescente area degli emarginati da ogni tipo di garanzia sociale, spinti al margine del rapporto salariato: disoccupati, poveri, migranti, rifugiati.

La borghesia industriale del passato era interessata alla salvaguardia del territorio fisico perché, per quanto separata dalle classi subalterne, viveva comunque in quello spazio, ma anche perché la borghesia moderna era interessata a predisporre le condizioni del futuro, in quanto i rientri economici della produzione dipendevano dalle vendite di merci da realizzare nel futuro, e perché la crescita economica era un processo che si svolgeva in un tempo esteso.

Il capitale finanziario non ha più alcun interesse al territorio, né al futuro della comunità in quanto non ha più alcun contatto con gli spazi esterni al bunker e perché i suoi profitti si realizzano nella dimensione istantanea e virtuale. La classe finanziaria abita all’interno di gate community protette militarmente, e va in vacanza in luoghi simulati protetti da guardie armate, nei quali il mare è finto, la neve è finta, le montagne sono finte, gli esseri umani esprimono sentimenti finti. Inoltre il capitale finanziario realizza i suoi profitti nell’immediatezza dello scambio virtuale, e progetta il futuro come progressiva devastazione di ogni residuo spazio del territorio fisico esistente.

Perciò all’accumulazione di capitale finanziario corrisponde una devastazione del territorio e del futuro della comunità.

I lavoratori cognitivi vivono una condizione intermedia: sono bunkerizzati fin quando svolgono le loro funzioni produttive, ma affondano poi nella realtà del territorio urbano e della comunità sociale quando interrompono il loro rapporto con lo schermo e con la rete ed escono dagli edifici super-protetti delle corporation globali.

Fuori dal bunker vivono e lavorano tutti coloro che non appartengono al ciclo virtuale o finanziario. Il lavoro industriale non è affatto diminuito rispetto al passato. Al contrario il numero degli operai industriali è aumentato da quando la globalizzazione del mercato del lavoro ha inserito nuove masse di lavoratori all’interno del processo produttivo nei paesi di nuova industrializzazione. Ma questi sono spossessati di potere politico e di forza sindacale. A causa della globalizzazione del mercato del lavoro sono sottoposti al continuo ricatto della delocalizzazione, e d’altra parte non hanno la possibilità di intervenire sui processi decisionali perché questi si svolgono all’interno del bunker al quale non possono aver accesso. Gli extra-bunker possono bruciare interi quartieri, ma questo non ha alcuna conseguenza sui luoghi della decisione che non sono sul territorio.

Necro-lavoro: Daesh

C’è un settore del lavoro extra-bunker che tende ad assumere un rilievo crescente: è il settore del necro-lavoro, ovvero del lavoro destinato a incrementare il profitto di alcune global corporation il cui prodotto concreto è la morte per sterminio.

Roberto Saviano ha descritto la camorra napoletana come un punto cruciale del ciclo globale del necro-lavoro: questa sezione del processo di accumulazione capitalistica si sta espandendo man mano che si espande la pauperizzazione, l’emarginazione, l’umiliazione di un numero crescente di giovani delle periferie urbane del mondo intero.

Prendiamo due esempi di questo fenomeno.

Il primo è Daesh, noto anche come Califfato Islamico.

Non è possibile comprendere la vera natura di questo originale organismo se non si tiene conto che, oltre ad amministrare un territorio abitato da circa cinque milioni di iracheni e tre milioni di siriani, esso funziona più come una corporation globale che come uno stato territorializzato.

Oltre all’appropriazione dei soldi trovati nelle banche irachene e siriane delle città conquistate, oltre alle cospicue donazioni di sostenitori sauditi, oltre ai proventi dei sequestri, oltre alla tassazione degli abitanti delle aree occupate Daesh incassa i profitti provenienti dal
petrolio delle zone occupate.

Secondo la giornalista franco-libanese Mona Alemi: “i metodi di produzionepetrolifera dello Stato Islamico sono piuttosto primitivi, con un livello di produzione più basso di quello che si verificava prima del conflitto.

Ciononostante il guadagno dello stato Islamico dal mercato petrolifero è di un milione di dollari al giorno solo dall’Iraq.” Daesh è diventato un’azienda che garantisce lavoro a giovani disoccupati delle periferie delle città arabe, ma anche a giovani emarginati delle città europee o perfino canadesi. Scrive Wassim Bassem: “Da quando l’IS ha conquistato Falluja un numero crescente di giovani ha cominciato a unirsi all’esercito islamista per svolgere il loro lavoro come combattenti in cambio di un salario mensile di 400 o 500 dollari che però è intermittente e non stabile.” (http://www.usnews.com/news/articles/2014/08/13/money-power-draw-young-iraqis-to-the-islamic-state).

È facile capire che Daesh non sarà facilmente sradicato dai valorosi bombardieri americani, visto che il suo serbatoio di reclutamento è costituito da milioni di giovani arabi inglesi ed europei che arruolandosi si garantiscono un salario mensile che l’austeritarismo della Banca Centrale europea non sarà mai in grado di dargli, oltre ad avere la possibilità di tagliare la gola a qualche occidentale per vendicare l’umiliazione di Abou Ghraib.
Necro-lavoro e petrolio

Un secondo esempio di necro-corporation lo troviamo in Messico: è il ciclo del sequestro ed eliminazione. Siamo abituati a identificare l’industria criminale messicana con il narcotraffico, ma forse si tratta di un’identificazione riduttiva, o superata.

Secondo un giornalista italiano che da anni lavora in Messico (Federico Mastrogiovanni autore di un libro recentemente pubblicato in Messico con il titolo Ni vivos ni muertos) le formazioni armate che agiscono spesso in collaborazione con la polizia, prima di tutto gli Zetas, che sono un’organizzazione formata da ex-militari e poliziotti delle squadre speciali  specializzata in massacri, stanno differenziando il loro prodotto, e dal terreno del commercio di droga si stanno spostando verso un nuovo campo, che è quello del gas scisto (shale gas).

Quanto alla potenzialità di estrazione di gas scisto il Messico è il quarto paese nel mondo, dopo Cina Stati Uniti Argentina, e prima del Canada, che pure ha messo in moto da tempo una gigantesca operazione di devastazione ambientale per la raffinazione di “tar sands”, petrolio ricavabile da sabbie bituminose, e non ha esitato a ritirare la firma del protocollo di Kyoto non appena il governo canadese si è reso conto del fatto che il paese che aveva aderito quando non sapeva di essere potenzialmente produttore, disponeva invece di grandi giacimenti.

In Messico si stanno mobilitando investimenti enormi nel campo del fracking, ma per questo occorre spostare la popolazione di alcune aree, particolarmente della conca di Burgos. Secondo Mastrogiovanni i sequestri e i massacri di massa sono da collegarsi alla preparazione dell’interregno dell’industria del petrolio.

“La privatizzazione di Pemex, scrive in Ni vivos ni muertos, non fu solo il risultato di una politica criminale concepita per spopolare la conca di Burgos, ma condusse a una forma autoritaria che abusa dell’ignoranza della popolazione soprattutto di quella che vive dove si dovrà impiegare il fracking.”

Il New York Times del 24 novembre 2014 pubblica un articolo di duepagine dedicato alle conseguenze del fracking in alcuni villaggi del North Dakota, dove la popolazione, che ha accettato a suo tempo l’intervento dei petrolieri nella speranza di arricchirsi, comincia a rendersi conto del fatto che le conseguenze di quella tecnica di estrazione sono la devastazione del territorio e della vita di coloro che vivono in quel territorio. Ma se in North Dakota la gente è stata convinta con i soldi ad accettare la distruzione dell’ambiente in cui vive, in Messico i metodi utilizzati sono più sbrigativi: sequestrare, massacrare, terrorizzare per deportare e aprire la strada all’intervento dei frackers.

In questa ipotesi, che Mastrogiovanni suffraga con una consistente mole di dati e di interviste, gli Zeta sono allora manodopera al servizio dei petrolieri, pagati per fare un lavoro (produttivo nel senso di utile all’accumulazione di capitale) che consiste nel torturare, terrorizzare, deportare. “Nella conca di Burgos sono presenti le maggiori riserve di shale gas, e la zona è sotto il controllo diretto degli Zetas, e lo stato messicano inesplicabilmente per anni non ha fatto nulla contro di loro”.

La violenza inevitabile che viene

Dall’emergente composizione globale del lavoro viene delineandosi un quadro di cui i movimenti di resistenza e di liberazione debbono prenderne coscienza. La violenza non costituisce più soltanto un mezzo politico di attacco contro l’autonomia sociale, ma è strumento normale dell’accumulazione di capitale.

Di conseguenza la parola democrazia puzza di merda e puzza un po’ di merda anche chi ce la propina. L’azione democratica non ha più alcuna possibilità di difendere la vita sociale, e meno che mai ha la possibilità di liberare forme di vita dal regime schiavistico globale.

Di questo dobbiamo prendere atto se non vogliamo che i nostri discorsi si riducano a mera accademia. Nel prossimo periodo, anche in Europa e particolarmente in Italia la violenza politica è destinata ad assumere un ruolo cruciale. Personalmente non mi considero un pacifista e non ho alcuna difficoltà a riconoscere la necessità della violenza contro gli assassini e gli sfruttatori. Ma il punto è un altro: nel prossimo periodo è  quasi inevitabile per il movimento essere trascinato in processi di azione violenta. il rischio di conseguenze letali si va facendo altissimo. Dobbiamo esaminare e risolvere il problema in termini scientifici.

L’autonomia sociale si trova oggi di fronte due distinti nemici: l’astrazione finanziaria nelle sue articolazioni politiche e tecniche, e la corporeità identitaria nelle sue forme nazionaliste e mafiose.

Non potremmo reggere l’urto con la prima né con la seconda. Non possiamo permetterci il lusso di essere trascinati dall’inevitabile escalation di violenza che si sta preparando. Dobbiamo trovare una via d’uscita da questa trappola, e la via d’uscita consiste a mio parere nel giocare la prima contro la seconda e la seconda contro la prima. Come? Ragionare urgentemente dobbiamo su questo punto.

Novembre 2014 / Toronto

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