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>>> A BREVE SARANNO PUBBLICATI ANCHE I VIDEO DEGLI INTERVENTI!

Sabato 29 Novembre dalle 11,30 @ CS Cantiere, via Monterosa 84 Milano
Domenica 30 Novembre dalle 10,30 @ Spazio di Mutuo Soccorso, piazza Stuparich 18, Milano

Al Cantiere e allo Spazio di Mutuo Soccorso, ospitato da UniPop, il primo seminario di Commonware ed Effimera sulla crisi e la composizione di classe.

Un’occasione per imparare e per discutere, a partire dalle letture dalle lezioni e dalle analisi di più di 15 di relatori (professori e attivisti). L’appuntamento sarà caratterizzato anche da tavole rotonde e da un ampio spazio per il confronto tra attivisti, precari, studenti impegnati nelle lotte contro la #buonascuola di renzi e gli abitanti dei quartieri ppolari e meticci che in questi giorni a Milano sono in piazza tutte le mattine con le bandiere #Stopsfratti e sgomberi. Se nella prima giornata affronteremo una descrizione della crisi e delle sue caratteristiche, nella seconda affronteremo una panoramica sulla composizione sociale delle lotte. Il seminario avrà uno sguardo globale, grazie anche agli interventi dal Brasile e dalla Cina, ma anche un forte radicamento “local” grazie alla presenza di compagni e attivisti di Milano, Bologna, Torino, Palermo e altre città.

Diretta della seconda giornata
di seminario dal canale di CommonRadio e dal Twitter del Cantiere

Intendiamo questa seconda parte, dedicata alle soggettività, alle categorie interpretative, alle lotte e soprattutto all’empasse delle stesse, come un cantiere aperto, come una sorta di intervista collettiva, a partire da una serie di domande che devono essere intese come parte integrante del seminario. Intendiamo invitare non solo coloro che introdurranno i lavori – e successivamente i primi interventi della tavola rotonda che si terranno entro i 10 minuti – ma tutti* coloro che parteciperanno al seminario a prendere parola sui temi posti, a partire da una griglia di questioni che abbiamo individuato come centrali, e che pubblichiamo qui di seguito, come una basica struttura su cui costruire l’incontro. Non ci nascondiamo le difficoltà presenti e di conseguenza il bisogno di chiamare tutt* coloro che vorranno a un confronto collettivo su alcuni snodi che riteniamo critici.

Ascolta l’audio dei seguenti interventi:
Tavola rotonda coordinata da Gigi Roggero, con interventi di Cantiere, Cristina Morini, Simone Sisti, Paolo Vignola, Francesco Pezzulli

Ascolta l’audio degli interventi conclusivi del seminario:

Ascolta l’audio dei seguenti interventi:
Salvatore Cominu: “I temi e le domande”
Beppo Cocco: “Composizione sociale del lavoro. L’esempio del movimento brasiliano”

Diretta della prima giornata di seminario dal canale di CommonRadio e dal Twitter del Cantiere

L’analisi della prima giornata verterà sulle modificazioni assunte dalla crisi economico-finanziaria nel suo svilupparsi nel tempo all’interno dei diversi territori, a livello globale. Quali sono le forme assunte dalla governance imperiale in Europa, nei Brics?

Ascolta l’audio dei seguenti interventi:
Andrea Fumagalli: “Scenari dalla crisi globale: 2008-2014. Nuovi paradigmi della governance imperiale”
Raffaele Sciortino: “Geopolitica delle lotte”
Massimiliano Guareschi: “La dimensione costituente della crisi”

Ascolta gli audio dei seguenti interventi:
Gabriele Battaglia: Le trasformazioni della Cina
Bruno Cava: La misteriosa curva della retta di Lula
Orsola Costantini: Siate affamati, siate folli…e state sereni: le linee guida dell’Europa degli Hunger Games
Christian Marazzi: Nuove forme dell’instabilità finanziaria
Carlo Vercellone: Composizione organica del capitale e composizione di classe

Per preparare il seminario

“La crisi messa a valore: i luoghi, i soggetti e la riconfigurazione globale del lavoro, del potere e delle lotte”
Leggi il programma dei seminari dai Quaderni di San Precario

Preparazione per il seminario “La crisi messa a valore”
Leggi materiali e testi da CommonWare.org

Di seguito la presentazione dell’appuntamento:

Entrati, ormai, nel settimo anno della crisi economico-finanziaria, possiamo affermare che oggi la crisi non è la stessa che esplose nel 2007. Si debbono, a nostro avviso, individuare alcuni snodi fondamentali, che consentono di periodizzarne le fasi principali. In termini molto schematici, si possono individuare almeno tre passaggi. Il primo raggiunge il suo apice tra lo scoppio della bolla dei subprime nel 2007 e il fallimento della Lehmann-Brothers l’anno successivo: l’epicentro è collocato negli Stati Uniti, ma da subito i suoi effetti hanno una portata globale. Con buona pace della vulgata neoliberale del laissez-faire, l’intervento dello Stato nel salvataggio delle banche e una politica monetaria espansiva (il cosiddetto quantitative easing) diventano una costante per far fronte alla dimensione strutturale che sta travolgendo l’economia capitalistica. Il culmine della seconda fase arriva nel 2011 in Europa, dopo due anni di conclamata recessione: speculazione sui titoli di Stato e crescita dell’indebitamento pubblico ne sono le principali caratteristiche, a cui sarebbe successivamente seguita una nuova drastica diminuzione del Pil. La Germania si “sgancia” dall’Europa intensificando i suoi interessi di scambio e commerciali con Cina, Russia e Brics. Le timide parentesi e proposte keynesiane che periodicamente emergono mostrano la loro debolezza, lasciando il campo al dominio delle politiche di austerity. Negli ultimi due anni, infine, il quantitative easing è di fatto imposto dalla necessità di assecondare le convenzioni speculative che l’oligarchia finanziaria continuamente genera, senza che ciò determini un consistente “sgocciolamento” verso la cosiddetta “economia reale”. Continua il processo di frammentazione dell’Europa, mentre i Brics annunciano la creazione di una propria istituzione finanziaria, la New Development Bank. Dopo un periodo di apparente tregua, i tentativi – tra loro diversi – della Bce e delle grandi banche centrali americana, inglese e giapponese di attenuare gli elementi strutturali della crisi si scontrano con chiari segnali che paiono annunciare una nuova fase di aggravamento sul piano globale.

Insomma, dopo sette anni sembrano confermate le caratteristiche non solo strutturali ma in qualche modo permanenti dell’attuale crisi, nel momento in cui la finanziarizzazione pervade e si spalma sull’intero ciclo economico. In questo quadro, una periodizzazione della crisi che analizzi congiuntamente i processi di accumulazione, la governance politica e monetaria e la dimensione geopolitica non è un semplice esercizio accademico o cronachistico, ma è un compito fondamentale per cogliere gli elementi specifici di ogni fase, poiché dentro questi passaggi si stanno ridefinendo o sono fallite delle ipotesi di riassetto dei poteri e delle forme di governo. La schematica periodizzazione qui proposta – che appunto sarà oggetto della discussione seminariale – va perciò approfondita e, soprattutto, aperta sulle questioni politiche che a partire da qui si pongono. Il primo obiettivo del seminario è dunque quello di interrogarci su sviluppi e scenari della crisi, sull’aggiornamento e sui limiti degli strumenti analitici con cui l’abbiamo affrontata a partire dal suo inizio, sulle nuove forme di governance globale che al suo interno emergono. Quello che sta accadendo tra Ucraina, Siria e Iraq, oltre all’ennesima aggressione militare di Israele contro i palestinesi, ci portano per esempio a chiederci con forza se la guerra, pur nelle forme parzialmente nuove che assume, torni a essere uno strumento utilizzato dal capitale per far fronte alla crisi. Uno dei risultati della crisi è infatti l’approfondimento dei processi di frammentazione e la crescita delle contraddizioni che, in uno scenario imperiale, un tempo si sarebbero definite inter-imperialistiche. Ciò non significa rinunciare a uno sguardo globale, cioè a un metodo capace di individuare tendenze ed elementi comuni; vogliamo invece evidenziare quelle differenze e faglie che segnano il quadro geopolitico. Senza afferrarle, abbiamo l’impressione che si rischi di confondere il carattere globale della crisi con una sua supposta omogeneità nelle forme e negli effetti, dipingendo un mondo liscio e piatto in cui si perdono le intensità e peculiarità territoriali tanto delle condizioni di sviluppo quanto delle lotte. Allora, senza pretesa di esaurire la complessità del quadro geopolitico, nel seminario ci concentreremo in particolare su alcune esemplificazioni del contesto europeo (con ovvia attenzione all’Italia) e dei Brics. A partire da qui, cercheremo di porre delle questioni che pensiamo abbiano, queste sì, una portata tendenzialmente globale.

Dopo quella che possiamo chiamare in termini marxiani un’analisi della composizione organica del capitale nel tempo della finanziarizzazione e della sua crisi, nella seconda parte del seminario ci proponiamo di concentrare l’attenzione sull’irrisolto nodo della composizione di classe, legato da un lato alle trasformazioni e ai movimenti del lavoro vivo, dall’altro a un approfondimento della riflessione sulle forme di valorizzazione e sussunzione capitalistica. Non stiamo proponendo due momenti di discussione seminariale separati, riconducibili uno alle dimensioni “oggettive” e l’altro alle caratteristiche “soggettive”. Al contrario, pur analizzate nella loro specificità e distinzione, queste due parti sono intimamente connesse e continuamente intrecciate a differenti livelli di realtà: non cogliamo gli aspetti centrali della crisi contemporanea se non li leghiamo alle lotte (ovvero al loro emergere e ai loro silenzi), ai comportamenti di classe, alle forme di insubordinazione così come alle concrete sofferenze prodotte dallo sfruttamento e dall’impoverimento. Per dirla in termini anche in questo caso schematici abbiamo l’impressione che il problema della composizione di classe sia stato spesso aggirato e risolto nella formulazione di nuovi concetti che, seppur utili per vari aspetti, rischiano di essere schiacciati sulla composizione tecnica (in termini operaisti, ciò che riguarda la divisione capitalistica della forza lavoro, l’organizzazione della struttura tecnologica e del rapporto tra macchine e lavoro vivo) e di trascurare la composizione politica (ossia la dimensione soggettiva della classe stessa, inerente i comportamenti, la cultura, i modi di pensare, i bisogni e i desideri), o meglio ancora di far discendere in termini lineari la seconda dalla prima. Non siamo riusciti ad andare molto oltre la constatazione, peraltro piuttosto ovvia, che il concetto di composizione di classe non può più essere utilizzato nelle stesse forme in cui è stato forgiato negli anni ’60. Oppure l’osservazione della costitutiva eterogeneità del lavoro vivo contemporaneo ha condotto non solo alla corretta critica delle concezioni essenzialiste della classe, ma ha finito per ignorare il problema della ricomposizione nelle differenze, senza cui il comune non è immaginabile. In sintesi, parlare di composizione di classe significa riportare la centralità sul nodo del rapporto al cui interno si determinano lo sviluppo del capitale e della soggettività, la crisi e le lotte, lo sfruttamento e la resistenza. Senza comprendere questo rapporto, nelle forme mutate che oggi assume, crediamo che sia molto difficile uscire dalla semplice descrizione sociologica e cogliere le nuove caratteristiche dei movimenti nella crisi, soprattutto nei loro caratteri spuri e di potenzialità inespressa.

Non si tratta di inventare nuove categorie suggestive, ma di ripensare o costruire degli strumenti teorici adeguati, in una fase in cui fatichiamo dal punto di vista del discorso e della pratica politica. Anche i concetti di capitalismo cognitivo o lavoro cognitivo sono sempre stati per noi ipotesi per l’intervento militante: non ne siamo i gelosi custodi, ma vogliamo porli a verifica ed eventualmente ripensarli, mettendoli alla prova dei faticosi processi di organizzazione delle lotte, dei limiti che abbiamo registrato negli ultimi anni, delle questioni che il presente ci costringe ad affrontare e dei diversi contesti in cui esse si manifestano. Per esempio, mentre l’anno passato in Brasile abbiamo avuto delle insorgenze a partire da aspettative crescenti, cioè da una società in espansione in cui i soggetti produttivi vogliono appropriarsi della ricchezza che creano, lo scenario in Italia e in varie parti d’Europa è per certi versi capovolto. Negli ultimi anni abbiamo probabilmente posto poca attenzione su quello che possiamo definire un quadro di aspettative decrescenti: il Jobs Act (che avrà nell’Expo di Milano un campo di sperimentazione) istituzionalizza non solo la precarietà permanente, ma addirittura il lavoro gratuito. Come queste aspettative decrescenti impattano sulla soggettività? Cosa significa dal punto di vista delle lotte e come si possono rompere i livelli di accettazione che la crisi produce? Allo stesso modo, da qualche tempo ci interroghiamo su che fine fa la forma-impresa, in quanto modello di organizzazione della forza lavoro, all’interno delle trasformazioni produttive degli ultimi decenni. Ci chiediamo, cioè, se rimanga come semplice incrostazione parassitaria rispetto a una cooperazione sociale già dotata di autonomia oppure se – pur con modalità parzialmente inedite – continui a essere una forma di organizzazione e costruzione della soggettività. Come tali questioni si traducono nell’analisi della composizione di classe?

A partire da questi temi di discussione, qui accennati per sommi capi, proponiamo di costruire uno spazio di confronto ampio: siamo infatti convinti che oggi più che mai il problema non sia la competizione tra scuole di pensiero, ognuna delle quali rischia di sprofondare nell’autoreferenzialità o nella marginalità, ma interrogarci collettivamente sui nodi politici irrisolti, sulle inadeguatezze dei nostri discorsi e attrezzi concettuali, sui limiti delle lotte e dei movimenti. Per farlo non ci poniamo lo scopo di uscire dal seminario con delle risposte definitive, che rischierebbero di essere illusorie: l’obiettivo è di iniziare a porre in fila alcune delle domande centrali, per trasformarle in griglie di ricerca teorica e militante.

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